Euroscettici: sigle, numeri e ragioni del successo
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Euroscettici: sigle, numeri e ragioni del successo

Crescono alle elezioni europee ma non sono ancora maggioranza di governo. A spiegarlo è il ricercatore Vincenzo Emanuele di Cise Luiss

Crescono ma non convincono, competono ma non governano. È vero che lo spettro degli euroscettici si aggira per l’Europa ma la morte dei partiti tradizionali è fortemente esagerata.

Lo pensa e lo dimostra, con dati empirici, uno dei più attenti osservatori in Italia di populismi e partiti no euro come Vincenzo Emanuele, ricercatore del Cise Luiss, una piccola Nasa che osserva, separa, smonta l’algebra elettorale e dunque interpreta la complessità sotto la guida del politologo Roberto D’Alimonte. «La verità è che gli euroscettici prendono voti in Europa proprio contro l’Europa» spiega Emanuele che ha classificato tutti le formazioni politiche che vogliono sfasciare l’Unione.

Chi sono? «Innanzitutto partiti di estrema destra ma anche di estrema sinistra. I primi vogliono sfasciarla per ragioni nazionalistiche, i secondi per ragioni storiche, e mi riferisco alla critica marxista contro il mercato e la globalizzazione». Cominciamo dalla destra? «È più facile. C’è l’Ukip di Nigel Farage in Gran Bretagna; Il Front Nazional di Marine Le Pen in Francia; il Freedom Part di Hans Christian Strache e la Bzo dell’ex governatore della Carinzia, Jorg Heider in Austria. E poi il Partito delle libertà (Pvv) di Geert Wilders in Olanda; la Nuova alleanza Fiamminga (Nva) di Bart de Wever in Belgio. In Italia ci sono naturalmente la Lega Nord e Fratelli d’Italia».

Insomma, si assomigliano un po’ tutti e crescono dappertutto. In Austria solo i voti spediti dagli elettori per posta hanno impedito a Norbert Hofer del Freedom Party di essere eletto presidente. In Austria gli euroscettici si sono infatti fermati al 49.7% ma hanno raddoppiato i voti rispetto al 2013 quando rappresentavano il 20.5%.

In Olanda gli adirati contro la Ue sono passati dal 28% delle elezioni politiche del 2010 al 42.5% del 2012. «Ma attenzione però. Crescono soprattutto quando si vota per le elezioni europee ma non sfondano quando si vota per le elezioni politiche nazionali» dice Emanuele confortato anche dal risultato delle politiche spagnole che ha visto calare il partito euroscettico Podemos del professore di filosofia Pablo Iglesias.

«Alle elezioni politiche e nazionali i partiti tradizionali, e intendo socialisti e conservatori, tengono e alla fine governano. Proprio quando conta la stabilità del proprio paese, e quindi alle politiche, gli elettori si affidano ai partiti mainstream. Diverso è per le elezioni europee, quelle che noi definiamo elezioni di secondo ordine, dove è possibile esprimere un voto sincero e non strategico» continua ancora Emanuele.

E allora ha senso parlare di valanga euroscettica? Per Emanuele l’euroscetticismo è dominante da quando è iniziata la crisi: era un tema secondario, ora divide due mondi come in passato li divideva la coppia destra / sinistra». Eppure l’euroscetticismo è anche di sinistra… «Si. In Grecia è di estrema sinistra Syriza guidata da Alexis Tsipras, così come in Spagna Podemos, e in parte anche il nostro Movimento 5 Stelle. In alcune circostanze nascono proprio con l’obiettivo di lasciare la Ue. È il caso della Germania e di Alternative for Germany (Afd). E ci sono paesi, si pensi alla Danimarca, dove sono davvero primo partito. È il caso del Danish People’s Party».

Il paradosso è che la divisione li unisce: «Uniti dalla disunità» ed è ancora Emanuele a parlare, lui che ha studiato pure l’elettore idealtipo euroscettico. «Sono imprenditori e partite iva; attori che si scontrano con le gabbie burocratiche e che inciampano nei regolamenti, nei cavilli e nelle mattane della Ue».

Eppure per Emanuele l’unica novità, almeno per il momento, di tutto questo ringhiare contro l’Europa, è quello di aver allargato il campo elettorale invece che restringere, è la dispersione anziché l’alternanza. «In quasi tutti i paesi, gli euroscettici hanno contribuito a edificare un sistema tripolare e superare lo schema bipolare che per tanto tempo ha costituito il fondamento della scienza politica».

Sono solo sbuffi di bile? «Sono segnali di fumo, non ancora un incendio. Ma gli euroscettici possono prendere fuoco alle prossime elezioni francesi». Li possiamo chiamare ancora euro-scettici? «Il termine è stato coniato nel 1998 da due studiosi inglesi, altri cominciano a parlare di euro reject. Rigetto». Come si vede gli euroscettici non sono filosofia e dubbio ma stomaco e cibo. Il rigetto non è la perplessità ma l’indigestione d’Europa.


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Carmelo Caruso