Dopo Renzi: Piacentini resterà?
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Dopo Renzi: Piacentini resterà?

Tutti i dubbi sulla permanenza a ruolo di Commissario per l'Agenda digitale del manager venuto da Amazon

Fra i tanti delusi dall’esito del referendum costituzionale ce n’è uno che ha più motivi di delusione degli altri. Si chiama Diego Piacentini e appena tre mesi fa si è messo in aspettativa dalla carica di vicepresidente di Amazon (azienda statunitense fondata nel lontano 1995 come libreria on line dal visionario Jeff Bezos e divenuta un colosso mondiale della distribuzione) per diventare, su richiesta di Matteo Renzi, Commissario straordinario del governo italiano per l’attuazione dell’Agenda digitale. Potrà restare al suo posto ora che il premier è prossimo alle dimissioni?

Sul piano formale non dovrebbero esserci problemi. L’incarico, conferito con un decreto del 16 settembre scorso, non è di quelli che scadono con il cambio della guardia a palazzo Chigi. Tuttavia il coinvolgimento personale del presidente del Consiglio uscente in tutta questa operazione è stato fortissimo.E poiché non è affatto detto che il prossimo inquilino di palazzo Chigi abbia le stesse idee di Renzi sull’applicazione delle tecnologie digitali alla Pubblica amministrazione italiana, è inevitabile porsi l’interrogativo.

Del resto la nomina di Piacentini (che curiosamente fu annunciata con ben sette mesi di anticipo, nel febbraio 2016) non è andata liscia neppure quando Renzi era in sella. Da più parti sono state sollevate nei mesi scorsi perplessità su vari aspetti dell’operazione, primo fra tutti quello dei suoi reali contorni economici. Il governo ha sottolineato più volte che per questo impegno Piacentini non riceve alcun compenso e che al tempo stesso la sospensione della sua posizione in Amazon ne garantirebbe la totale indipendenza.

Qualcuno però ha fatto notare che la retribuzione di Piacentini in Amazon, circa 175 mila dollari lordi annui, è relativamente modesta se confrontata con i quasi 90 milioni di dollari di stock option che il manager italiano continua a detenere e che lo legano saldamente agli interessi del datore di lavoro che gli ha appena concesso l'aspettativa.

"Il valore di quelle azioni” ha scritto Raffaele Barberio, direttore di Key4Biz, un think tank ben conosciuto nel settore “continuerà a crescere nel mondo, compresa l’Italia, che rappresenta una entratura formidabile per la Ue, con l’attuale posizione di Piacentini nel governo italiano…”. C’è andato ancora più pesante il presidente della commissione Bilancio della Camera (assai critico su Renzi) Francesco Boccia, che prima ha contestato al manager il mantenimento delle stock options per poi sparare a zero sul coinvolgimento di Amazon nell’erogazione del bonus cultura ai giovani deciso dal governo: “Ma vi pare normale che un’azienda leader mondiale nel commercio elettronico fornisca la vendita di beni e servizi connessi al bonus cultura?”.

Altri hanno denunciato il rischio che la struttura di Piacentini duplichi le funzioni dell’Agid, l’Agenzia per l’Italia digitale il cui direttore Antonio Samaritani, scelto anch’egli da Matteo Renzi nel 2015, non pare aver portato grandi risultati. Cosa che non è ovviamente irrilevante neppure dal punto di vista dei costi. Perché se è vero che l’impegno personale di Piacentini non costa niente, la sua struttura invece costa eccome: il decreto di nomina prevede la possibilità di spendere fino a 7 milioni (su un apposito capitolo di bilancio della Presidenza del Consiglio) solo per il 2016 e la legge di Bilancio appena approvata prevede una spesa di 11 milioni nel 2017 e di 20 nel 2018.

Di fronte a queste previsioni di spesa ha lasciato un po’ perplessi il recente annuncio in pompa magna della messa a punto di un’app per semplificare la burocrazia italiana, che dà l’idea di un semplice slogan (per altro neppure troppo originale) ben lontano dalla reale dimensione dei problemi della nostra Pubblica amministrazione.

Risultato: le dimissioni di Piacentini, con conseguente necessità di ricominciare per l'ennesima volta a tessere daccapo la tela dell’innovazione digitale nella Pubblica amministrazione italiana, sono considerate un’ipotesi tutt’altro che peregrina, su cui i 5 Stelle si sono già portati un pezzo avanti. “La caduta del governo Renzi” hanno detto i deputati del Movimento in commissione Trasporti della Camera “impone un ripensamento anche della governance dell’innovazione nel nostro Paese. Ci riferiamo, in particolare, alla nomina del dottor Piacentini e alla costruzione del cosiddetto team per la trasformazione digitale”.

La parola a questo punto è al manager venuto da oltreoceano. Sarà lui, presumibilmente nel giro di qualche giorno, a doverci dire se pensa che il suo lavoro possa andare avanti anche dopo Renzi e, soprattutto, quali obiettivi ritiene di poter conseguire e in che tempi.

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