Il vero potere della Corte Costituzionale
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Il vero potere della Corte Costituzionale

Dopo 17 fumate nere la Consulta, ritenuta da Calamandrei il portiere della Costituzione, resta al centro della lotta e della confusione dei partiti

È stata nera anche la fumata n°17. Niente da fare: né Luciano Violante (Pd) né Ignazio Caramazza (FI) hanno raggiunto il quorum di 570 voti per essere eletti alla Corte Costituzionale. Violante si è fermato a 506, Caramazza a 422. Si continua. A dare il "cattivo esempio".

Non ci sono solo merletti e gale, toghe e stucchi, la cerimonia che nobilita ma che irrita. Anche Matteo Renzi dovrebbe ammirare quelle quindici teste dal pallio nero che compongono la Corte Costituzionale, una passerella di uomini navigati, i professori che tanto disprezza la rottamazione, le vecchie "parrucche" miti dal poco parlare e dal molto pensare.

E infatti è uno strappo di consuetudini, un rabbuffo quello che Giuseppe Tesauro, presidente in carica della Consulta, si è lasciato scappare nei giorni scorsi, la pazienza che anche i saggi perdono: "Sui giudici della Consulta il parlamento sta dando il cattivo esempio" ha detto l'illustre presidente. Sono state 17 le fumate nere che il parlamento ha dissipato per individuare due nomi dall'alto profilo, dall'integrità indiscussa che già avrebbero dovuto occupare le sedie vuote da due mesi nella silenziosa e regale sala delle udienze, lo spogliatoio degli arbitri della Repubblica, il sinodo dove si conserva l'ortodossia della legge.

Insomma, dovrebbero saperlo anche i partiti che non a caso maneggiano la Consulta con la stessa diffcoltà con cui i laici toccano le ostie consacrate, che il Palazzo della Consulta sta nello stesso colle del Quirinale e che i suoi membri sono quasi più di quindici capi di Stato: meno inno, ma più diritto, meno commozione ma più funzione.

Dovrebbero saperlo anche i partiti che il Palazzo della Consulta sta nello stesso colle del Quirinale e che i suoi membri sono quasi più di quindici capi di Stato

L'impasse attuale

E nella scompostezza con cui i deputati trattano l'elezione della Consulta c'è infatti il peso della scelta che manda in confusione e che divide tutti, l'irresistibile tentativo di fare della Consulta un ippodromo, senza neppure lo spettacolo del tradimento e dei franchi tiratori che sempre ha contraddistinto la nomina dei capi di Stato. E lo dimostra la marcia spedita verso un 18° fallimento, come se non fosse bastata la bocciatura del tandem composto da Luciano Violante e Donato Bruno, quest'ultimo senatore di Forza Italia finito nello strascico del Fatto per un'indagine a Isernia, depennato dal partito che al suo posto ha indicato l'avvocato generale dello Stato Ignazio Francesco Caramazza.

Non si può assegnare un posto alla Corte come si assegna un sottosegretariato che diceva Leo Longanesi era il miglior modo per avere potere senza avere responsabilità, peso grazie alla leggerezza. Nell'equilibrio della Corte, quindici giudici, c'è il complicato gioco dei poteri, non il bilancino e la spartizione tra istituzioni, ma la suddivisione necessaria per scongiurare la parzialità dell'uomo di legge. Nominati rispettivamente da presidente della Repubblica, dalla Magistratura e dal Parlamento in seduta comune, la longevità e la durata di mandato dei giudici è quella stabile di nove anni (addirittura 12 anni in un primo momento era la durata prevista) non prorogabile nè ripetibile.

La storia della Corte

Dunque non è un rito, neppure un pasticcio, un residuato quell'alto quorum chiesto alle camere per nominare, tre quinti ovvero più di 570 voti utili, che impedisce la facile ratifica, la imminente investitura. C'è filosofia e diritto nella nascita della Consulta che guarda all'America e alla sua Corte Suprema, ma è di pianta europea, abbeverata dai giuristi britannici e cresciuta nel giardino di Francia dall'idea rivoluzionaria dell'autonomia degli ordini. Ecco, la Consulta che come piace dire al pensiero azionista è presbite, guarda lontano, è stata negli ultimi anni di ipertrofia dei piccoli staterelli, regioni dal potere sempre in conflitto con lo Stato centrale, sempre più invitata a sciogliere controversie e dispute di magistrati contro le leggi, di magistrati contro le prerogative e immunità del capo di Stato, e certo non va dimenticato che è l'unico pubblico ministero che può mettere in stato d'accusa un presidente, Giovanni Leone si dimise per non trovarsi di fronte.

Ed è sempre stata questa Corte, che ha il riserbo come mandato, la discrezione come catechismo, a incidere nella bigotta Italia ritenendo ammissibile i grandi referendum di civiltà, a rendere praticabile quella fecondazione eterologa che il parlamento cerca invano di normare. Con le sue sentenze, la Corte ha mitigato l'eccesso legislativo, aggiustato i testi imbrattati con fretta, dichiarato fuori-legge i politici con il doppio incarico, è stata l'ultimo setaccio che ha separato la crusca del deputato impudente dalla semola dell'onorevole virtuoso.

Neppure Piero Calamandrei che pensava al giudice della Corte come al portiere della costituzionalità delle nostre leggi, avrebbe potuto immaginare che un giorno la Consulta sarebbe stata presa in ostaggio

E tuttavia neppure Piero Calamandrei che pensava al giudice della Corte come al portiere della costituzionalità delle nostre leggi, mai avrebbe potuto immaginare che un giorno la Consulta sarebbe stata presa in ostaggio, finita in una lotteria di nomi che ha già due esclusi: Bruno appunto e Antonio Catricalà che con il suo rifiuto a gareggiare, e farsi rimandare, non solo ha restituito blasone alla sua carriera ma ne ha elargito alla Consulta.

La Consulta è finita tra gli strepiti di Beppe Grillo che per ultimo contesta Luciano Violante ritenuto inadeguato "senza requisiti perchè non è magistrato delle giurisdizioni superiori, non ha mai esercitato la professione di avvocato, non è più professore ordinario in alcuna università" e contestata dalla Lega perchè estromessa dalla scelta, non invitata da Forza Italia. Ebbene, qualcuno la salvi, metta un limite alle votazioni. Qualcuno protegga l'arbitro, il giudice costituzionale dal pareggio, dal cincischiare del Parlamento: qualcuno imponga i rigori per sconfiggere l'ostruzionismo.

 


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Carmelo Caruso