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Caso Nogarin: il M5S e la questione morale

I grillini al bivio: salvare il sindaco di Livorno o sacrificarlo per non compromettere la corsa degli altri candidati a sindaco

La complessa vicenda giudiziaria che vede coinvolto il sindaco di Livorno Filippo Nogarin ha una morale molto semplice: assumendosi responsabilità amministrative, il Movimento 5 Stelle ha scoperto che governare, soprattutto a livello locale, è molto più rischioso che fare opposizione in Parlamento. L'inciampo è sempre dietro l'angolo. Sindaci e assessori possono infatti ritrovarsi a dover rispondere delle decisioni assunte, secondo un legittimo orientamento politico, nell'espletamento della loro funzione.


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Non era il caso di Rosa Capuozzo, la prima cittadina di Quarto costretta a dimettersi per il sospetto di infiltrazioni mafiose nel comune campano da lei amministrato. Ma è invece il caso proprio di Nogarin.

Il sindaco pentastellato, portato in trionfo da Beppe Grillo e l'intero Movimento quando nel giugno del 2014 riuscì a strappare la roccaforte rossa alla sinistra che governava la città toscana da decenni, è rimasto infatti vittima del suo ruolo che, quando si amministra, non è altro che quello che fare delle scelte e assumersi delle responsabilità.

Al centro di tutto, in questo come in molti altri casi (basti pensare all'inceneritore di Parma che ha fatto impazzire Federico Pizzarotti), ci sono i rifiuti.

La vicenda dell'Aamps
Negli ultimi due anni Nogarin ha dovuto fare i conti con il collasso dell'Aamps, l'azienda muncipalizzata locale. Debiti fuori controllo, immondizia per le strade, dipendenti furiosi, dirigenti scelti e poi scartati perché inadeguati o che hanno sbattuto la porta di propria iniziativa in segno di dissenso con le iniziative assunte dall'amministrazione. Fatto sta che, dopo due anni di tribolazioni, Nogarin ha deciso di tagliare la testa al toro e procedere con il concordato preventivo, una soluzione che di fatto certifica il fallimento dell'azienda. Tanto che creditori e lavoratori senza stipendio da mesi sono saliti sulle barricate perché preoccupati di non rivedere più i loro soldi.

Il reato che la Procura contesta al sindaco non è ancora chiaro, ma c'è di mezzo questo e un pacchetto di assunzioni di precari storici, circa 33, che Nogarin ha sbloccato a gennaio dopo, però, aver già portato i libri in tribunale (con la richiesta di concordato).

Perché il pasticcio sta proprio qua: il sindaco, che oggi rivendica di essere stato il primo a voler fare chiarezza affidandosi ai giudici, nel frattempo, cioè da novembre a oggi, ha comunque continuato a governare e quindi a decidere che quei 33 lavoratori, ai quali l'amministrazione precedente aveva promesso il posto, dovevano essere assunti nonostante l'azienda fosse in crisi e sull'orlo della bancarotta.

“Se ho sbagliato – si difende Nogarin – l'ho fatto in buona fede”.

Qual è l'errore
L'errore consisterebbe di fatto, se l'indagine in corso dovesse appurare che così è stato, nell'aver arrecato un danno erariale alle casse del comune nell'assumere un'iniziativa, l'assunzione dei precari, che resta comunque tra le prerogative di un sindaco. La domanda è: al di là degli esiti dell'inchiesta, un qualsiasi partito o movimento politico può agire contro un proprio amministratore, arrivando a ventilarne le dimissioni anche quando non ci sono in ballo interessi personali, perché colpevole di aver amministrato? Il mandato elettorale lo assegnano e lo tolgono (alle elezioni successive) i cittadini che eleggono il proprio sindaco o il partito che lo candida sulla base di un avviso di garanzia?

La posizione del Movimento
Quando in ballo ci sono esponenti di altre forze politiche, la risposta del Movimento 5 Stelle è netta: dimissioni senza se e senza ma. Quando invece la palla avvelenata finisce nel proprio campo iniziano i distinguo. O almeno sono iniziati negli ultimi tempi, man mano che al mito della purezza grillina si sono andate sostituendo logiche prettamente politiche.

Nel caso di Nogarin, per esempio, da una parte c'è chi, come Beppe Grillo che per questa campagna elettorale ha lanciato l'hashtag #IoVotoOnesto, si è schierato dalla parte del suo pupillo, chi, come Luigi Di Maio ha già cominciato a dire che non è detto che un avviso di garanzia debba necessariamente comportare le dimissioni (soprattutto se ad averlo ricevuto è uno dei loro) e chi invece, come Alessandro Di Battista, tace ma solo per celare la fortissima preoccupazione per i contraccolpi che questa vicenda potrà avere sulle amministrative di giugno.

In tutte le città dove si vota, infatti, i vari coordinatori delle campagne elettorali sono disperati. Temono infatti che l'inchiesta di Livorno comprometta il destino dei candidati in corsa. Soprattutto a Roma dove Virginia Raggi, guidata proprio da Di Battista, è oggi in testa a tutti i sondaggi e vede da vicino la poltrona più alta del Campidoglio.

Tanto che, accusati soprattutto dal Pd di essere dei “garantisti a giorni alterni”, se alla fine i vertici del Movimento decidessero di sacrificare il povero Nogarin, sarà stato più per salvare gli altri candidati sindaci che per punire il sindaco indagato in nome dei sacri principi di un giustizialismo radicale e inderogabile.

Il prossimo passo di Nogarin
Il sindaco di Livorno, compresa l'antifona, sembra già rassegnato al proprio destino. Un suo prossimo passo indietro è nell'aria. Ha già scritto su Facebook che piuttosto che correre il rischio di essere sfiduciato in Aula, si dimetterebbe prima. Almeno un paio di consiglieri grillini potrebbero infatti voltargli le spalle. Anche alla luce del malumore crescente tra la base. Ma soprattutto lo farebbe perché ha capito che in ballo ci sono interessi più grandi di lui: conquistare Roma significa infatti assestare a Matteo Renzi quella spallata necessaria per permettere al Movimento 5 Stelle di giocarsi la partita nazionale da una posizione di vantaggio.

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Claudia Daconto