Bruno Tabacci, il centrista che piace ai marxisti
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Bruno Tabacci, il centrista che piace ai marxisti

Tra i candidati alle primarie l'assessore al Bilancio di Pisapia è quello più amato dai marxisti italiani. Il ritratto di un moderato perbene che pensa a un'alleanza tra centristi e progressisti per superare i populismi italiani

Per i marxisti italiani è l’ultima speranza. La rivoluzione? “Solo lui può farla”. Bruno Tabacci come Mao, Tabacci camuffato da subcomandante Marcos, Tabacci con Hugo Chavez, Tabacci dal rostro a concionare le folle con il pastrano che fu del compagno Lenin.

Oh, beltà di internet e di photoshop, luogo e strumento dove anche i democristiani come Tabacci con un click possono finire per essere i soviet, idoli e comiziare sotto le bandiere rosse del Cremlino insieme alla nomenklatura. L’idea è nata a tre giovani di Cagliari, fare di Tabacci un sodale di Marx e di Rosa Luxenburg a furia di fotomontaggi e appelli da Terza internazionale che spopolano sul web. Il risultato? Novemila fan iscritti alla pagina “Tabacci Marxista”, tutti in solo coro: “Vota il compagno Tabacci”.

Sia ode quindi a Bruno Tabacci, candidato alle primarie del centrosinistra, ma solo per “rappresentare quella parte del centrosinistra cattolico”, dice lui.

E come diffidare da chi ha fatto saltare i nervi in compagnia di Marco Follini a Silvio Berlusconi? “Che spina questo Tabacci”, diceva Berlusconi parlando di Tabacci.

Erano epoche diverse, le foto fra Berlusconi, Pieferdinando Casini, e Gianfranco Fini, roba da rigattieri al mercatino. Non c’era verso di farglielo amare. Tabacci? “Una spina, spina”,  sussurrava il cavaliere. “Vuole un ministero? Diamoglielo” aggiungeva.

Ma come spiegare a Berlusconi che Tabacci lo faceva per le radicate passioni da democristiano, rettitudine morale, divergenza nella convergenza (ops, qui la penna si fa prendere dalla lingua che fu di Aldo Moro).

Quanto sono importanti i maestri? Solo Tabacci lo ha capito, quando nel suo pantheon tira fuori non storici, non blogger, non i cattolici (lui sì che avrebbe avuto diritto di farlo) ma bensì i suoi maestri Giovanni Marcora e Giovanni Goria.

Uno se lo porto a Roma, al ministero dell’Industria (Marcora), l’altro al ministero del Tesoro (Goria).

Sia chiaro, lo scelsero non per appartenenza, ma più per professionalità, competenza, magia dei democristiani solamente quella di mescere e unire l’assegnazione delle cariche con il talento degli uomini.

Di economia Tabacci ne mastica quanto Berlusconi ne mastica di televisione, Renzi di scout, la Puppato di green economy, la Camusso di fabbriche.

Professionista della politica e dell’economia dunque, come lo fu del resto Tremonti, come lo è Mario Monti ( a proposito, anni dietro era proprio Tabacci che lo candidava a garante della Concorrenza in Italia).

E però a differenza di Tremonti, dei professori, a Tabacci è riuscito l’imponderabile ovverossia far scendere l’economia dal piedistallo dei numeri, dalla supponenza degli indici e delle percentuali, insomma farne lingua da talk show.

Per intenderci e per parafrasare l’insegnamento dello scrittore Alberto Arbasino (bisogna parlare alle casalinghe di Voghera), Tabacci fa economia spiegata anche a chi pensa che l’unico giornale rosa sia la Gazzetta dello Sport e disconosce il Sole 24 Ore.

Nato un anno dopo la proclamazione delle Repubblica ha congiunto tutto l’arco parlamentare.

Nasce al centro, transita suo malgrado a destra, finisce candidato alle primarie del centrosinistra a sfidare l’eloquio pasoliniano di Nichi Vendola.

In realtà se c’è un giocatore della politica più conteso, quello è proprio Tabacci.

Che so, un fantasista, un playmaker, uno che invecchia ma continua giocare a meraviglia. Chiedendo scusa in anticipo ai tifosi, verrebbe da paragonarlo al Pirlo di centro, all’uomo sempre utile, al giocatore dato per finito e che invece ti confeziona un’annata da incorniciare.

Arte che riesce a imparare solo chi nella vita, almeno una volta, è stato dato per finito.

Correva l’anno 1993. Prima di quell’anno, Tabacci era stato consigliere nel mantovano, consigliere regionale in Lombardia fino a divenire presidente di Regione durante gli anni ’87-89. Nel 1993 c’è fame di gogna, non bastano le prime pagine per sbattere i mostri.

Antonio Di Pietro è il pm di “Mani Pulite”. L’autodafè dell’inquisizione si celebra in piazza. Così tra colpevoli e presunti, anche Tabacci finisce con l’infamia ddell’accusa di finanziamento illecito.

Scriveva Curzio Malaparte che il difficile non è vivere liberi in libertà, ma vivere liberi in una prigione. Tabacci cerca la propria libertà fuori dalla prigione politica. Si ritira. Subisce un processo. Dopo tre anni verrà assolto. Completamente. Quando Di Pietro farà ammissione di colpa per l’uso spregiudicato di avvisi di garanzia, Tabacci risponderà: “Non faccia dietrofront, il suo avviso mi ha rovinato”.

E qui Tabacci si sbagliava, non solo l’avviso non lo ha rovinato, semmai lo ha elevato. Il terzo grado di giudizio è stato il rogo in cui sono state bruciate tutte le accuse contro di lui.

Nel 1996 si ricandida con il Ccd nel collegio di Castiglione delle Stiviere, strappando per il centrodestra l’unico seggio all’Ulivo.

Eletto con il 50 per cento dei voti. Il resto è storia recente. Tabacci con Casini, Tabacci che se ne va, Tabacci che fa la Cosa Bianca (una sorta di operazione Montezemolo da commodore 64), Tabacci con Rutelli, Tabacci nel centrosinistra, ma soprattutto Tabacci con Giuliano Pisapia, assessore al Bilancio al comune di Milano.

Per tutti è stato un esperimento, il comunista e il democristiano. L’esperimento riesce e volete adesso che il mite Tabacci non possa stare con Nichi Vendola?

Certo, si è candidato perché rappresenta i cattolici, ciò non significa, come ha detto nel confronto su Sky, che non sia favorevole ai diritti dei gay, ma le adozioni no, quello no.

Il resto è tutto negoziabile. Chiamatelo quindi il negoziatore, il mite Tabacci. Per Laura Puppato è il più sexy delle primarie. E’ stato l’unico che sentendo Renzi parlare di “soli dieci ministri”, gli abbia risposto dall’alto della sua professionalità: “Ma cosa dici”. Abolirebbe le regioni a statuto speciale (finalmente), è per la flessibilità ma con moderazione. Si unirebbe a Casini. Ha già rinunciato alle deleghe al comune di Milano, ma solo alle deleghe. E ora sentite un po’: “Da piccolo leggevo Rinascita, il settimanale dei comunisti”, ha dichiarato Tabacci. Altro che compromesso storico!

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Carmelo Caruso