A proposito della democrazia di Beppe Grillo
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A proposito della democrazia di Beppe Grillo

Il M5S è una ventata d'aria fresca nel palazzo, ma si comporta come un partito-setta al servizio di un padre-padrone. Dove non esistono iscritti, ma solo adepti

S’è visto subito, sin dalle prime mosse degli altri partiti: l’invasione grillina ha portato un’ondata di aria fresca in Parlamento. Prendiamo il Pd. Pier Luigi Bersani avrebbe inventato il “metodo Grasso” per far eleggere alla presidenza delle due Camere due “gran belle persone” (vox populi) sganciate da logiche di apparato? E avrebbe detto alla senatrice Anna Finocchiaro e all’onorevole Dario Franceschini: prego, sgomberare, si rinnovano anche i capigruppo parlamentari? Si presenterebbe dal Capo dello Stato (domani) con la proposta di un governo “sganciato dai partiti” e che tagli i costi della politica?

E candiderebbe al Quirinale (aprile prossimo)  una personalità di “altissimo profilo”? Probabilmente no. Ha capito che tanti voti dati a Beppe Grillo sono altrettante sberle a un sistema decrepito,  screditato. E allo stesso Pd, che doveva dare immediatamente un segnale di “ricevuto”.

E poi, prendete l’ultimissima. Se non fosse stato per loro, i grillini, non sarebbe emersa una delle tante furbizie partitiche pagate dalla collettività: la delibera per assumere in Parlamento, senza concorso, cento persone: quasi tutti ex deputati ed ex senatori trombati, con codazzo di ex portaborse. Viene voglia di dire: cari grillini, continuate così!

Però… Sì, c’è un però. Dato a Grillo ciò che è di Grillo, chiunque abbia una minima idea di come funzioni un sistema democratico resta allibito di fronte a  certe scene. Per esempio, il capo che minaccia di espellere dal movimento i senatori che hanno “tradito” votando Piero Grasso. E poi lo stesso capo che ci ripensa, e dice: «Vi perdono». Lui che, dall’alto (di che cosa?), condanna ed assolve. Anzi, perdona. Nel suo atteggiamento si mescolano pericolosamente pulsioni autoritarie e “sacerdotali” che lo fanno assomigliare più a un capo setta che a un leader politico.

E ancora, prendete la capogruppo alla Camera, Roberta Lombardi. Martedì 19 marzo convoca i giornalisti per una conferenza stampa, annuncia il verbo e arrivederci e grazie. E le domande? Il capo ha deciso che non bisogna rispondere alle domande dei giornalisti. Probabilmente, un simile comportamento sarebbe stato inconcepibile persino nella Corea del Nord di Kim Il Sung. E non verrebbe tollerato nemmeno nell’ Iran di  Mahmud Ahmadinejad tanto caro al comico genovese.

Allora, sommando una serie ormai infinita di episodi del genere,  emerge la faccia inquietante del grillismo: la mancanza di regole certe di vita democratica interna (chi elegge chi, e come e con quale controllo?) e una sorta di snobismo, per non dire disprezzo, nei confronti dell’opinione pubblica (in che altro modo può essere definito l’arrogante rifiuto di sottoporsi alle domande dei giornalisti?). Non è una cosa di poco conto, dal momento che stiamo parlando di una forza politica con un peso rilevante, che si candida al governo del Paese. Quindi, è un problema che riguarda tutti noi. Chi si propone il sacrosanto obiettivo di trasformare il Palazzo in una casa di vetro, non può poi comportarsi come una setta, imponendo il silenzio ai propri adepti e impedendo a occhi esterni di guardare dentro le proprie stanze.

«E’ stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora», è uno degli aforismi attribuiti a Winston Churchill, se la memoria non c’inganna. Farebbe bene a ricordarsene anche Beppe Grillo. Poiché è impensabile che un Paese democratico, per ammalato che sia, possa essere eterodiretto da alcuni illuminati riuniti intorno alla “Round Table” dell’altro capo setta, Gianroberto Casaleggio.

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Giovanni Fasanella

Redattore parlamentare dal 1984,  prima dell'Unità e poi, dal 1988, di Panorama. Ha pubblicato molti libri con ex terroristi, vittime di terroristi ed alcuni tra i maggiori investigatori italiani nei loro rispettivi ambiti: Giovanni Pellegrino, per sette anni presidente della commissione parlamentari su stragi e terrorismo; Rosario Priore, giudice istruttore delle inchieste su Moro, Ustica e attentato a papa Giovanni Paolo II; Mario Mori, fondatore del Ros e per alcuni anni direttore del Servizio segreto civile.

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