Attento Bersani, finirai come Prodi nel 2006
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Attento Bersani, finirai come Prodi nel 2006

Come il governo di allora era appeso ai senatori a vita, così un esecutivo Bersani dovrà fare la spola tra Monti e Vendola per garantirsi la sopravvivenza. Speciale elezioni 2013

Io ho vissuto come senatore del Pdl i giorni cupi del governo Prodi, fino alla sua caduta dopo due anni dalle elezioni, caduta che portò di nuovo alle urne con la vittoria travolgente dell’alleanza Pdl-Lega.

Ero lì al Senato e assistevo come tutti a un’agonia. Il governo era traballante, costretto a ricorrere quasi ogni giorno al soccorso dei vecchissimi senatori a vita, fra cui Oscar Luigi Scalfaro e Rita Levi Montalcini, condotta in aula a braccia e costretta a votare con l’aiuto di una persona che metteva materialmente il dito sul tasto. Il governo era fatto di volti lividi, tristi, volti di gente precaria che sa che la vita politica è attaccata ad un filo.

Fra un mese o poco più potrebbe ripetersi da capo questo scenario: Bersani potrebbe conquistare la Camera grazie al premio di maggioranza del Porcellum, ma uscire con le ossa rotte al Senato. E potrebbe formare una maggioranza traballante con l’aiuto di Monti, avendo però alla sua sinistra gli sproni del Sel di Vendola e i fondamentalisti di Ingroia.

Pas d’ennemis à gauche” – mai avere nemici alla propria sinistra – fu lo slogan lanciato dal deputato radicale francese René Renoult all’inizio del secolo scorso e resta una massima sempre valida per ogni governo d’ispirazione socialista. Prodi ne sapeva qualcosa quando fu fatto crollare da una congiura parlamentare guidata da D’Alema e Cossiga nel 1998, quando gli americani dell’amministrazione Clinton volevano un ex comunista a Palazzo Chigi che garantisse l’operatività delle basi aeree italiane necessarie per lanciare l’attacco alla Serbia. Quella congiura, o congiunzione di interessi, fu portata a termine grazie alla posizione di Bertinotti che era alla sinistra di Prodi.

Nel prossimo Parlamento Pierluigi Bersani si troverà quasi certamente di fronte a un Senato riluttante e difficilissimo: se vorrà mantenere l’alleanza lanciata da Berlino a Mario Monti, dovrà fare a meno di Vendola (che ripete come un ritornello di non voler ad alcun costo fare maggioranza con il professore) e probabilmente di Ingroia, se conquisterà seggi al Senato. Se cercherà di tenere insieme Vendola e Monti, finirà come i suppliziati fatti squartare da due quadrighe di cavalli cui erano legati nell’arena del Colosseo. Se cederà al richiamo della massima che ordina di non avere nemici a sinistra, potrebbe essere tentato, ammesso che ci fossero i numeri, di fare una maggioranza di si sinistra, cosa che appare improbabile e pazzesca.

E allora? Allora bisognerebbe che Bersani, ammesso e non concesso che sia lui a vincere le elezioni, disponesse di una sua maggioranza autonoma. Ma tutto fa ritenere che non ce l’abbia. I sondaggi lo danni in caduta leggera ma costante, mentre il PdL di Silvio Berlusconi è dato ormai da tutti non soltanto in ascesa, ma prossimo alla zona recupero.

È stato molto divertente Marco Travaglio nell’ultima puntata di Servizio Pubblico quando ha messo sotto torchio il Pd per il suo vizio quasi ventennale: crede sempre di avere la vittoria in tasca, e poi vince Berlusconi. Così accadde ai tempi della “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, poi con l’inutile vittoria delle sinistre nel 1996 che non solo non seppero governare, ma cambiarono più volte presidente del Consiglio (Prodi, D’Alema, Amato, con la staffetta lanciata a Rutelli) e poi di nuovo nel 2001 quando la sinistra perse malamente per vincere malamente nel 2006.

Insomma, siamo in presenza di una vera coazione a ripetere. La sinistra pensa sempre di avere una grandiosa vittoria in mano, dopodiché o perde malamente, oppure vince talmente di misura che poi si cade in maniera rovinosa.

E infatti, noi senatori della legislatura cominciata nel 2006 (anche allora fu il Senato la sede politica e teatrale dello scontro) vivemmo una stagione inebriante per il centrodestra. Avevamo perduto le elezioni per poco più di trentamila voti e tenemmo il governo Prodi in bilico, col coltello alla gola, finché cadde su una votazione di fiducia e subito dopo rivinse Berlusconi.

Come mai accade questo curioso fenomeno? Oggi abbiamo visto Berlusconi rimontare gran parte dello svantaggio lottando come un leone. È vero, ma non basta per spiegare il fenomeno della rimonta. Il fenomeno della rimonta sta nei numeri: da sempre, dalle elezioni del 1948 che comunisti e socialisti erano sicuri di stravincere e che invece persero, è apparso chiaro che la grande maggioranza degli italiani, se va a votare e ad esprimere il proprio orientamento, rifiuta senza tentennamenti il voto al Pci e poi alle sigle che si sono succedute fino ad oggi. Non ne vogliono sapere. Non si può neanche dire che siano tutti “di destra” anzi molti sono di orientamento socialista e radicale. Questo lo sapeva Bene Palmiro Togliatti che aveva tentato di aggirare l’ostacolo mantenendo vivo e aperto un dialogo con i cattolici, dopo aver votato a sorpresa l’articolo sette della Costituzione che accoglie i Patti Lateranensi stipulati tra il Vaticano e Mussolini.

Ma la regola la conoscono tutti: la sinistra può vincere se e soltanto se il centro e la destra sono divisi, perché se invece sono uniti la sinistra da sola non ce la farà mai e infatti non è mai accaduto che abbia raccolto la maggioranza assoluta dei voti.

Ecco allora che si spiega la rimonta di Berlusconi: il suo ritorno sulla scena televisiva è servito come segnale per tutti i milioni di italiani che nel passato hanno votato a destra o comunque hanno votato lui, Berlusconi, e che poi si sono disamorati, disaffezionati e hanno preferito rifiutare la scheda che votare per la sinistra. Così, almeno, nei grandi numeri.

Dunque Berlusconi ha trovato in fondo una resistenza molto ridotta nei suoi corteggiamenti ai suoi elettori dispersi ed è sicuro, così almeno dice, di poter recuperare quanto basta per superare lo svantaggio e passare in testa vincendo le elezioni. Vedremo se sarà così. Ma se la riconquista berlusconiana si fermasse a un palmo della vittoria e Bersani dovesse andare in Parlamento in una posizione simile a quella di Prodi nel 2006, allora possiamo fin da oggi fare una facile previsione: la legislatura che sta per cominciare, nasce già morta. Può restare nell’incubatrice per un paio d’anni, ma poi si tornerà a votare.

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Paolo Guzzanti