La primavera a Tiananmen non è mai arrivata
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La primavera a Tiananmen non è mai arrivata

Il dibattito su quello che è successo il 4 giugno 1989 è chiuso, e i controrivoluzionari che volevavo far cadere il regime sono stati adeguatamente puniti

Ieri, alla vigilia del giorno del ventiquattresimo anniversario del massacro di Piazza Tiananmen Pechino ha fatto sapere al mondo di "non avere nulla da dire" sui fatti dell'ormai lontano giugno dell'89. Nulla da ricordare, commemorare o, neanche a dirlo, spiegare o giustificare. Per la Cina ma anche per il resto del mondo, che farebbe bene (una volta e per sempre) a farsi gli affari propri smettendola di immischiarsi in faccende che non lo riguardano né direttamente né indirettamente.

E' il Partito comunista la principale ragione per cui in Piazza Tiananmen così come in qualsiasi altro angolo di questa gigantesca nazione la primavera non è mai arrivata e mai arriverà. Di certo nessuno si sarebbe mai aspettato che sarebbe stato un governo conservatore e in crisi a ipotizzare qualche apertura sul fronte delle riforme politiche e sociali, o anche solo sul piano della memoria, ma Xi Jinping è riuscito, a sorpresa, a far fare al paese qualche passo indietro. Perché la Cina, per quanto surreale possa sembrare, sul fronte del rispetto dei diritti riesce più facilmente a tornare indietro che ad andare avanti...

Lo ha dimostrato oggi, rispondendo all'invito statunitense a raccontare al mondo che cosa è successo nella settimana più buia della storia cinese e perché con un laconico "la Cina ha già raggiunto una conclusione chiara e oggettiva sulle proteste di Tiananmen" che ha spiazzato tanti. Il paese, quindi, non solo avrebbe rispolverato questa tragica pagina del suo passato, ma l'avrebbe anche giustificata, digerita e definitivamente archiviata. Tutto questo senza che nessuno, cinesi inclusi, se ne sia accorto, lasciando tutti nel dubbio di cosa si siano detti i leader orientali a proposito di questa protesta (cioè niente, perché è altamente probabile che, in realtà, il tema "Tiananmen" non sia mai stato affrontato).  

Cosa significa tutto questo? Di fatto che nulla è cambiato e, purtroppo, niente mai cambierà. Non sapremo mai quante persone hanno perso la vita nella piazza simbolo di Pechino nella notte tra il 3 e il 4 giugno dell'89 e quante sono state perseguitate, torturate e uccise "nel nome della stabilità" nei giorni successivi. Allo stesso modo, se il dibattito su Tiananmen va considerato "chiuso", è ovvio che il governo continuerà a condannare qualsiasi manifestazione che possa in qualche modo ricordare una tragedia potenzialmente in grado di destabilizzare il paese. Perché intendiamoci: giustificare Tiananmen non significa lodare l'esercito per aver massacrato decine di migliaia di studenti innocenti, ma premiarlo per aver avuto il coraggio di mischiarsi a pericolosissimi controrivoluzionari violenti interessati a far crollare la Cina per fare in modo che gli interessi delle élite potessero avere la meglio su quelli delle masse, che invece il governo e i soldati avrebbero prontamente e coraggiosamente protetto.

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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