L'India non è un paese per donne
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L'India non è un paese per donne

Lo stupro di New Delhi riporta l'attenzione su un paese in cui nascere donna è drammatico

Dopo essere stata percossa con spranghe di ferro, stuprata per quasi un'ora da sei uomini e gettata (nuda e priva di sensi) dal finestrino di un autobus in corsa a New Delhi, una studentessa indiana di soli 23 anni è morta dopo due strazianti settimane di agonia. Il processo contro cinque aggressori, accusati di stupro e omicidio, è iniziato ieri, ed è probabile che l'intero branco venga condannato a morte. Il sesto sospettato verrà invece giudicato da un tribunale minorile. La tragedia si è consumata alle 21.30 del 16 dicembre scorso. La ragazza stava tornando a casa dopo aver trascorso la serata al cinema con gli amici.

Per quanto condivida che si tratti di un atto socialmente ripugnante da punire con la massima severità, e perfettamente consapevole che la velocità e la determinazione con cui il sistema giudiziario del Subcontinente si sta occupando del caso dipende dal fortissimo risentimento con cui la società civile ha reagito allo stesso, ammetto di non essere del tutto convinta delle ragioni che hanno spinto l'intero paese, da nord a sud, a ribellarsi. Possibile che la nazione abbia finalmente trovato il coraggio di reagire?

L'India, purtroppo, è un paese in cui le donne non sono mai state particolarmente rispettate. Più di un'organizzazione internazionale considera questa nazione il luogo peggiore in assoluto in cui nascere donna. E per esperienza personale posso dire che le occidentali, pur privilegiate, non sono certo immuni da prevaricazioni e pregiudizi. Ricordo che mentre mi preparavo per il mio primo soggiorno a New Delhi fu la figlia del Console Generale indiano a Hong Kong a raccomandarmi di partire con una fede al dito, pur non essendo sposata, e di trovare il modo di informare rapidamente qualsiasi mio interlocutore del fatto che avessi un marito e dei figli. Questi dettagli, secondo lei, mi avrebbero resa più sicura.

Alle donne indiane, però, la fede al dito non garantisce nessuna tutela. Le più fortunate possono lavorare, ma molte colleghe mi raccontano che sono i mariti a depositare sui propri conti correnti i loro guadagni. Tutte le altre rischiano molto di più.

Il problema della violenza sulle donne è gravissimo e sempre più diffuso. Nel 2011 gli stupri sono aumentati del 9,2%. Nel 94% dei casi le vittime conoscono i loro aggressori. E sempre più spesso, per evitare scandali, le violenze vengono chiuse, con l'accordo delle famiglie, con un matrimonio tra i due. Quando questo compromesso salta, le giovani vittime vengono sottoposte al “test del dito”. Con il quale viene chiesto a un medico di dichiarare che la ragazza aveva “rapporti frequenti e regolari”. Circostanza che scagiona l'aggressore e permette ai genitori a punire “come meglio credono” la figlia disobbediente. E quel che è peggio è che, purtroppo, nessuno protesta. Così come nessuno trova tutto questo scandaloso.

E' in un contesto del genere che dobbiamo inquadrare l'aggressione in cui è stata uccisa la giovane studentessa indiana. Ed è per questo che è difficile credere che tutti quei funzionari che continuano a dichiarare di “aver preso la questione molto seriamente” siano davvero intenzionati a intervenire. Del resto, il deputato del Partito del Congresso Abhijeet Mukherjee, figlio Presidente Pranab Mukherjee, ha avuto il coraggio di descrivere le proteste come “un'occasione colta al volo dalle donne indiane per garantirsi qualche minuto di gloria”.

Forse l'unica vera differenza rispetto a un paio di settimane fa consiste nel fatto che le violenze inizino ad essere denunciate (fino a ieri le vittime venivano zittite, anche con violenza se necessario), e che la popolazione abbia iniziato a ribellarsi a un'omertà ormai troppo diffusa. Sempre ieri il deputato Bikram Singh Brahma, accusato di aver violentato una donna nella regione dell'Assam, ha rischiato il linciaggio della folla che si è calmata solo dopo l'intervento della polizia.

Per mostrare solidarietà e ribadire il proprio impegno nel voler cambiare le cose, il governo ha annunciato la prossima assunzione di agenti di polizia donne, da impiegare nella capitale per aiutare le ragazze che subiscono qualsiasi tipo di violenza a denunciare i colpevoli “a chi potrà assisterle in maniera adeguata”. Quindi senza deriderle o mettendo in discussione la loro parola”.

Sarà sufficiente? Personalmente non credo. Il risveglio delle coscienze è certamente un risultato straordinario per un paese come l'India, ma servirebbe una rivoluzione sociale e culturale per stravolgere quelle convinzioni e quelle consuetudini che hanno permesso al Subcontinente di guadagnarsi l'ignobile primato di paese peggiore in cui nascere donna.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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