La guerra nucleare di Kim Jong-un
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La guerra nucleare di Kim Jong-un

La Corea del Nord potrebbe sferrare il suo attacco il 10 aprile. Ma la comunità internazionale continua a sperare in una mediazione impossibile

La foto di questa settimana non poteva non essere dedicata al dittatore che rischia di stravolgere per sempre gli equilibri dell'Asia. Autorizzando una guerra nucleare di cui sarà la prima, e purtroppo non l'unica, vittima.

In questa immagine Kim Jong-un non è altro che un fantoccio assemblato dai coreani del Sud per farlo sfilare al loro fianco in una delle innumerevoli manifestazioni anti-regime organizzate dall'anima democratica della Penisola. Per Seul la dinastia Kim ha rovinato la vita di un intero popolo, separandolo con una cortina di ferro e costringendo la porzione rimasta a Nord a una vita di stenti e quella a Sud a una di terrore. Ed è per questo che non riusciranno mai a sentirsi al sicuro fino a quando l'intera famiglia non verrà annientata.

Questo momento pare essere ogni giorno più vicino. E non perché i sudcoreani, con l'aiuto di americani, giapponesi, cinesi e russi siano riusciti ad avere la meglio sul dittatore folle, ma perché Kim Jong-un, mescolando fobie e manie di protagonismo, sembra essere determinato a scioccare l'Asia, e il mondo, con una guerra nucleare.

Qualche minuto fa è arrivata la notizia che due missili a gittata intermedia sono stati trasportati sulla costa orientale della Corea del Nord e posizionati sulla rampa di lancio. Un annuncio che ha seguito l'invito a tutte le ambasciate straniere presenti a Pyongyang ad abbandonare il paese in virtù della "fase delicata del momento".

Eppure la guerra nucleare sarebbe un suicidio per il Nord, sia perché il regime è ormai completamente isolato nella regione, sia perché, una volta sconfitto il dittatore, la popolazione si arrenderebbe. Ma allora perché Kim Jong-un sembra voler far scoppiare la guerra a tutti i costi?

Per rispondere a questo interrogativo è necessario analizzare sia la recente evoluzione degli equilibri del Pacifico, sia la follia e la paranoia che plasmano le scelte del giovane Kim. Meno esperto e più sconsiderato del padre e del nonno, ha cercato di conquistarsi la stima del popolo in due modi: legalizzando passatempi a lui cari (parchi giochi, competizioni sportive, consumo di hamburger, pizza e patatine fritte), e presentandosi come il condottiero che li guiderà verso la "vittoria finale", la riunificazione col Sud.

In un primo momento le abitudini "filo-occidentali" di Kim Jong-un avevano portato tanti a definirlo "l'uomo della distensione". Invece, la necessità di recuperare consensi tra chi non aveva mai sentito parlare di lui per un passaggio di consegne inatteso e rapidissimo ha spinto questo ragazzotto arrogante e presuntuoso a cercare un modo per riscattarsi. E quando c'è riuscito (portando a termine due test missilistici e nucleari) si è montato la testa: ha convinto la popolazione che la Corea del Nord è una grande potenza e ha alzato la posta in gioco cambiando le regole di una prassi cui la comunità internazionale si era ormai abituata: quella delle continue minacce che regolarmente cadevano dopo l'offerta di aiuti e assistenza.

Va riconosciuto che il nuovo equilibrio in cui le provocazioni coreane si sono inserite ha ulteriormente complicato la situazione. Nell'Asia di oggi gli Stati Uniti stanno lavorando per rafforzare i legami con le potenze regionali, grandi o piccole che siano, sfruttando l'arroganza con cui la Cina si sta muovendo nella regione per presentarsi come un partner alternativo affidabile e rispettoso. Da qui la necessità di approfittare della crisi coreana per confermare la propria lealtà.

Una strategia che qualche risultato positivo lo ha ottenuto: la Cina, che non accetta "l'invasione statunitense nel suo cortile di casa”, ne' che gli Stati Uniti risolvano in piena autonomia il problema nordcoreano, per la prima volta si è allineata alla comunità internazionale sanzionando le provocazioni di Pyongyang.

Purtroppo, però, le sue implicazioni negative sono molte di più: le esercitazioni congiunte con la Corea del Sud e l'autorizzazione a far volare dei B-52 sulla Penisola hanno terrorizzato i nordcoreani, convincendoli che Washington si stesse preparando a un "nuovo Vietnam", e costringendo Kim a "fare sul serio", portando l'Asia sull'orlo della guerra.

Se il conflitto scoppierà, bisognerà far fronte prima alle conseguenze umane, sociali e ambientali dell'attacco nucleare del Nord, poi all'implosione di uno stato di 24 milioni di abitanti da anni prossimo al collasso, e infine fare i conti col riassestamento geopolitico dell'area. Che potrebbe condurre la regione verso una nuova Guerra Fredda.

Senza il cuscinetto di Pyongyang Pechino e Seul si troverebbero a gestire (con difficoltà) un confine comune. Ammesso che Tokyo e Mosca non decidano di partecipare in maniera attiva alla spartizione di questo territorio. A Sud, invece, la determinazione americana potrebbe spingere paesi come il Vietnam, le Filippine, o anche Taiwan, a "cacciare" la Cina dal Mare Cinese Meridionale, forti della convinzione di poter contare sull'appoggio Usa in caso di escalation. Un sostegno che gli americani farebbero fatica a negare, e che porterebbe i cinesi a usare la forza per farsi rispettare.

Dalla seconda Guerra di Corea, quindi, non può uscire nessun vincitore, e una catena di considerazioni sbagliate potrebbe portarci verso il consolidamento di un equilibrio dagli effetti paradossalmente peggiori di quelli di un'esplosione nucleare.

Al momento solo un dettaglio può permetterci di rimanere ottimisti: il governo di Pyongyang ha specificato nel messaggio di oggi che potrebbe "non essere in grado di garantire la sicurezza delle sedi diplomatiche in caso di conflitto dopo il 10 aprile". E anche se la credibilità di Kim Jong-un verrebbe messa a dura prova se si tirasse indietro proprio adesso, un leader folle come lui potrebbe sempre inventarsi all'ultimo minuto una soluzione fantasiosa ma accettabile per il suo popolo. Del resto, vale la pena sottolineare di nuovo che sarebbe lui il primo grande sconfitto del suo stesso attacco...

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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