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Muslims for Trump

OPINIONE - Per non essere travolti dall'Islam politico, i musulmani laici hanno votato Trump

Durante la campagna elettorale statunitense, il candidato Donald Trump ha fatto parlare di sé per le battute contro i musulmani, provocando ondate di sdegno soprattutto con la proposta shock di vietare loro l’ingresso negli Usa. I media, quasi unanimemente schierati con la candidata democratica Hillary Clinton, hanno avuto particolare cura non solo nel mettere in risalto tali dichiarazioni ma anche nel sottolineare che la stragrande maggioranza dei musulmani americani si era registrata per votare con la manifesta intenzione di impedire a Trump di arrivare alla Casa Bianca.

Cosi facendo, però, ai sondaggisti e ai commentatori politici è sfuggito che per molti musulmani, negli Stati Uniti ma anche e soprattutto nel mondo arabo, l’elezione di Trump sarebbe stata invece considerata come una vera e propria benedizione.

Già a marzo, il Time aveva segnalato il fenomeno intervistando tre cittadini statunitensi di fede islamica. Uno convertito, di padre ebreo e madre cristiana (Adam Warshauer, 37 anni), un cittadino statunitense di origine siriana emigrato negli anni 90 che ha votato quattro volte per candidati democratici (Omar Alkadri, 52 anni) e un altro di origine palestinese (Raed Hamdan, 41 anni). Storie diverse, ma accomunate da una decisa intenzione di votare per il candidato repubblicano già allora. Un mese dopo, anche la rete televisiva statunitense PBS ha dedicato spazio ai musulmani pro-Trump.

All’indomani dell’elezione di Trump invece il Washington Post ha dato ampio spazio alla testimonianza di Asra Nomani, ex giornalista del Wall Street Journal, co-fondatrice del Movimento di Riforma Musulmano, che ha affermato che “la colpa più grave del presidente uscente Barack Obama, è quella di essere stato troppo debole con il terrorismo islamico e troppo morbido con l'Islam Radicale.

Come Asra Nomani, che si definisce musulmana liberale che ha vissuto in prima persona l'estremismo islamico, tutti i musulmani che hanno votato Trump convengono che le dichiarazioni generiche sui musulmani del neo-eletto Presidente statunitense non hanno fatto loro certo piacere, ma che erano da ricondurre al lessico infuocato di una campagna elettorale sopra le righe o da derubricare a puro “intrattenimento” per l’ elettorato fondamentalista. Nessuno di loro ha creduto, neanche per un istante, che la proposta di impedire ai musulmani di entrare negli Usa fosse un’ipotesi concreta e realizzabile, e probabilmente hanno ragione.

È sottointeso che le uscite del candidato sono da ricondurre alla confusione che si fa tra “musulmani”, ovvero i semplici fedeli dell’Islam, e “gli islamisti”, ovvero coloro che usano l’Islam come un’ideologia politica per conseguire il potere.

Per Warshauer, è importante che l’amministrazione statunitense lavori con i paesi musulmani per fermare il terrorismo. Per molti musulmani infatti, l’impressione è che l’amministrazione Obama più che combattere il terrorismo abbia favorito il caos mediorientale o l’ascesa al potere di movimenti islamisti che rappresentano il terreno più idoneo per la crescita del terrorismo.  Per Hamdan, invece, l’elezione di Trump potrebbe  determinare un minore coinvolgimento dell’amministrazione statunitense in guerre oltre confine e persino favorire la pace tra arabi ed israeliani. Su questo anche l’ex ambasciatore israeliano in Egitto concorda, dalla pagine del Jerusalem Post, ricordando come il cambio di vento negli Stati Uniti possa essere d’aiuto ad un governo come quello del presidente egiziano El-Sisi, impegnato in una lotta senza quartiere contro il terrorismo islamista ma allo stesso tempo indebolito dal mancato sostegno occidentale.

L’elezione di Trump per molti musulmani, soprattutto in Egitto, non è sembrata una disgrazia bensì un’inattesa benedizione. Agli egiziani non è sfuggito che l’amministrazione Obama avrebbe preferito continuare a trattare con i Fratelli Musulmani saliti al potere dopo la deposizione di Mubarak nel 2011 in nome di una democrazia del tutto teorica che avrebbe portato alla trasformazione del più importante paese del Medio Oriente in una teocrazia radicale.

Come ha ricordato l’editorialista del Jerusalem Post, i governi occidentali hanno osteggiato il Presidente El-Sisi, dipingendolo come un feroce dittatore militare, invece di sostenere il suo governo alle prese con una crisi economica senza precedenti prendendo atto che è arrivato al potere con il sostegno di un’opinione pubblica che ha ritenuto l’esperienza di governo dei Fratelli musulmani fallimentare e pericolosa per l’identità egiziana, tradizionalmente poco incline agli estremismi.

Non a caso durante la rivoluzione che ha portato alla deposizione dei Fratelli musulmani per mano del generale El Sisi, nelle piazze circolavano moltissimi fotomontaggi di Obama con la barba degli islamisti radicali e i ritratti della Clinton, che non riusciva a contenere la sua gioia per le immagini di sodomizzazione di Gheddafi per mano dei radicali che oggi spadroneggiano in Libia, venivano presi a scarpate. E come c’era da aspettarselo, proprio la Confraternita dei Fratelli musulmani, tramite un suo portavoce, ha definito l’elezione di Trump una disgrazia per il mondo islamico.

Le loro filiali internazionali, esistenti anche negli Stati Uniti, hanno utilizzato toni minacciosi e ammonitori. Del tutto normale, visto che Trump ha garantito al Presidente El-Sisi sostegno alla legge attualmente al vaglio del Congresso per considerare i Fratelli Musulmani un’organizzazione terroristica.

È opinione diffusa che i governi occidentali sostengano i dittatori laici in Medio Oriente, quando invece proprio il caso egiziano dimostra che in realtà spesso e volentieri i governi occidentali tendono a trattare con gli islamisti, nella falsa convinzione che movimenti come i Fratelli musulmani rappresentino una sorta di “democrazia cristiana” in salsa islamica, con cui è possibile instaurare rapporti duraturi.

E confidando nel fatto che un'islamizzazione politica profonda delle società arabe possa arginare l'influenza russa oggi, sovietica in passato, in Medio Oriente. Il risultato è che i musulmani laici e liberali si “buttano nelle braccia” di Trump, con cui hanno un nemico comune: l’Islam radicale.

L’establishment democratico negli Usa e quello di sinistra in Europa a forza di aderire alle richieste e ai diktat delle organizzazioni che si rifanno all’Islam politico ha totalmente dimenticato l’esistenza di musulmani credenti ma laici e liberali.

L’impressione è che la sinistra in Occidente stia attivamente lavorando, a braccetto con le organizzazioni islamiste, per rendere i musulmani laici – in teoria più affini  alle istanze progressiste - una realtà ancora più minoritaria di non quanto rischi di esserlogià. Ed il vero paradosso non è che ci sono musulmani che votano Trump, ma che se vogliono sopravvivere e non essere totalmente travolti dall’Islam politico che in questi ultimi decenni ha guadagnato enormi spazi, sono proprio costretti a farlo.


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Sherif El Sebaie

Esperto di Diplomazia Culturale, rapporti euro-mediterranei e politiche sociali di integrazione. Nel 2008 viene ufficialmente invitato dal Dipartimento di Stato USA a partecipare all'"International Visitor Leadership Program", un programma di scambi professionali per leader internazionali e nel 2015 è stato scelto dall’Università della Virginia, a seguito di bando, come uno dei 10 Fellow del Simposio Internazionale di Arte Islamica.

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