Tailandia, tutto il potere alla giunta militare
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Tailandia, tutto il potere alla giunta militare

Con la nomina reale del generale golpista Prayuth Chan-ocha come nuovo primo ministro il Paese asiatico archivia la democrazia e apre interrogativi inquietanti sul futuro

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È arrivata il 25 agosto l’approvazione del Re Bhumibol Adulyadej alla nomina del nuovo primo ministro in Thailandia conferita al generale golpista Prayuth Chan-ocha. Con il suo benestare l’86enne monarca, riverito in tutto il Paese nonostante le precarie condizioni, sancisce ufficialmente l’inizio di un nuovo corso politico, una nuova fase contraddistinta di fatto dal congelamento di ogni principio di democrazia in favore dell’ennesima ascesa al potere dei militari.  

 

Ufficiosamente la democrazia era già stata accantonata lo scorso 20 maggio, quando i soldati agli ordini del generale Chan-ocha avevano imposto il coprifuoco a fronte delle crescenti proteste di piazza antigovernative per poi procedere due giorni dopo al colpo di Stato, il diciottesimo effettuato dalla giunta militare thailandese dal 1932 ad oggi (di questi 12 si sono concretizzati).

 

Il generale Prayuth Chan-ocha, già comandante dell’esercito reale e autoproclamatosi presidente della “Commissione nazionale per il mantenimento della pace e dell’ordine” (l’organo militare creato in concomitanza con il golpe), il 21 agosto è stato eletto a capo del governo dal parlamento che egli stesso aveva formato dopo la sospensione di tutte le istituzioni nominate con regolari elezioni. Nelle prossime settimane si insedierà ufficialmente un governo di transizione, il cui compito sarà quello di guidare il Paese fino alle prossime elezioni che il generale ha fissato entro la fine del prossimo anno. Di fatto però il potere dovrebbe restare saldamente nelle mani della giunta militare, in quanto è assai probabile le urne decreteranno la nascita di un nuovo governo formato principalmente da militari.

 

Con il colpo di Stato del 22 maggio i militari hanno deposto il governo di transizione fedele alla famiglia Shinawatra. Il 7 maggio il primo ministro democraticamente eletto nel 2011, Yingluck Shinawatra, veniva destituita da una sentenza della Corte Costituzionale con l’accusa di abuso di potere e sostituita con Niwatthamrong Boonsongphaisan, del suo stesso partito, il Pheu Thai. Nel 2006 un altro colpo di Stato – che aveva visto sempre in prima linea il generale Prayuth Chan-ocha – aveva deposto il fratello di Yingluck, Thaksin Shinawatra, magnate delle telecomunicazioni salito al potere alle elezioni del 2001.

 

Adesso il nuovo primo ministro promette riforme economiche, politiche e sociali per un Paese che, afferma, “non dovrà essere la prossima Ucraina o il prossimo Egitto”. Il suo governo marcatamente repressivo (ogni raduno che coinvolga più di quattro persone è stato ufficialmente bandito) e la sua personalità estremamente autoritaria sollevano però più di qualche dubbio sulla effettiva possibilità di un ripristino della democrazia entro i termini inizialmente stabiliti dalla giunta militare.

 

Al tempo stesso, tuttavia, l’impressione popolare è che le restrizioni siano comunque il prezzo da pagare per avere garanzie di stabilità, cosa che negli ultimi mesi soprattutto negli ultimi mesi nella capitale Bangkok è venuta meno. Ma la domanda che si pongono gli attivisti e i difensori dei diritti umani è se stabilità e libertà di espressione debbano escludersi a vicenda o se non debbano piuttosto essere parimenti tutelati da un governo. Domanda più che legittima, che però difficilmente troverà risposta nel nuovo governo thailandese.

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