Gli USA entrano nella Grande Guerra del Medio Oriente
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Gli USA entrano nella Grande Guerra del Medio Oriente

Voli di ricognizione USA sui cieli siriani certificano l’escalation in atto in Siria e Iraq . Ma l’intesa tra Obama e Assad potrebbe essere un errore tragico per l’intero futuro della regione

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Secondo più fonti, sono cominciati i voli di ricognizione americani sopra i cieli siriani per raccogliere informazioni sullo Stato Islamico che minaccia quel che resta della Siria governata dal regime di Damasco. Azione che prelude a bombardamenti aerei americani anche in Siria, dopo l’Iraq (ma, trattandosi dell’era Obama, bisogna essere prudenti nell’analisi e pronti ai ripensamenti di Washington).

Eppure, l’intesa sui raid tra il presidente siriano Bashar Assad con il suo omologo americano Obama, ricorda un po’ lo storico e infausto episodio del patto Molotov-Ribbentrop. Anche allora era estate, per la precisione il 23 agosto del 1939: in quell’occasione, i ministri degli Esteri di Russia e Germania firmarono un inatteso patto di non aggressione reciproca, che entrambi considerarono molto vantaggioso per i propri obiettivi strategici, ma che era destinato a peggiorare sensibilmente il quadro bellico internazionale.
Neanche dieci giorni dopo la firma del patto, infatti, la Germania nazista invadeva la Polonia dando il via alla Seconda Guerra Mondiale e meno di due anni dopo le truppe tedesche invadevano l’Unione Sovietica avviando la terribile Operazione Barbarossa.

Ovviamente, la storia è piena di ripensamenti e cambi repentini di alleanze (evitiamo qui di citare i casi che riguardano l’Italia) anche e soprattutto in nome della realpolitik. Eppure, la notizia secondo cui gli USA stanno conducendo bombardamenti con il “coordinamento del governo siriano” - parola di Bashar Al Assad - ha del clamoroso e, se non fosse tragica, potremmo definirla una notizia ridicola. Ma ci limiteremo ad osservare che la temporanea intesa tra Usa e Siria appare foriera di nuovi guai.

Assad da minaccia ad alleato
Tanto per restare nei paragoni estivi, solo un anno fa, il 31 agosto 2013, Barack Obama tuonava contro il dittatore siriano, sostenendo che gli Stati Uniti dovevano “intraprendere un'azione militare contro obiettivi del regime siriano” perché egli riteneva “il regime di Assad responsabile per l’uso di armi chimiche”. Addirittura, alla Casa Bianca circolava già un piano per l’esilio di Bashar Assad e famiglia con il placet russo. Che non arrivò mai, come non arrivò neanche il bombardamento “punitivo” a un regime che allora rappresentava “una minaccia diretta alla sicurezza del popolo americano”.
Cosa è cambiato da allora? Oltre centosettantamila morti, il regime di Damasco che non controlla più metà del Paese, le opposizioni sostenute dall’Occidente che si sono sfaldate e, al loro posto, un gruppo islamico militarmente ben addestrato, cresciuto oltre ogni aspettativa e talmente forte da occupare un’area enorme a cavallo tra due Stati, tale da imporre senza troppe difficoltà una forma di Stato conosciuta come il Califfato Islamico.

Il pericolo libico
Nel frattempo, in Libia i frutti del bombardamento euro-americano contro Gheddafi hanno prodotto una divisione forse definitiva del Paese e un proliferare di milizie che non riconoscono lo Stato libico e combattono per imporre un nuovo governo islamico.
Ma stavolta, al posto di inglesi e francesi, a condurre raid aerei ci stanno pensando l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, che non si sono presi nemmeno la briga di comunicare agli USA la loro volontà di colpire in Libia. Un po’ come ha fatto il governo israeliano nella guerra di Gaza, che non ha neanche preso in considerazione le proposte di tregua americane. Segno che molti non considerano più gli Stati Uniti un attore imprescindibile nel teatro mediorientale.
Se infatti l’ISIS, oggi elevatosi al rango di Stato Islamico, è riuscito a imporsi in Siria e Iraq inizialmente con soli cinquemila uomini, se ha potuto stringere patti con le opposizioni islamiche siriane (come la temibile Jabhat Al Nusra), e se è capace di muovere guerra su più fronti dal Kurdistan al Libano, tutto questo lo si deve in buona parte proprio all’insipiente politica estera di Barack Obama.
Indeciso a tutto, il presidente che non voleva trascinare più gli Stati Uniti in guerra si deve forse preparare a nuovi sforzi bellici, tradendo così i suoi sogni neo-isolazionisti. Ma gli analisti del governo americano sanno davvero cosa stanno facendo? E sono consapevoli delle conseguenze di tutto ciò per l’Europa?

Conclusioni
La sensazione generale, in tutto ciò, è che nessuno voglia leggere l’exploit dello Stato Islamico come la miccia di una ben più ampia guerra che si combatte dalla Libia fin quasi all’Afghanistan e che coinvolge direttamente almeno Egitto, Israele, Libano, Siria, Iraq e Palestina e indirettamente Giordania, Iran, Turchia, Qatar e Arabia Saudita. Con simili presupposti, l’intesa tra il regime siriano e la Casa Bianca appare più come la pietra tombale alle soluzioni diplomatiche tout court che non altro.
Solo la storia dirà se quello a cui stiamo assistendo è davvero l’inizio di una lunga guerra internazionale (meglio non chiamarla mondiale). In ogni caso, il tardivo intervento americano e il patto con l’ex nemico siriano certificano che la grande guerra del Medio Oriente è ben al di là dal concludersi e che nessuno ha una soluzione a portata di mano che non preveda uno scontro militare.

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Luciano Tirinnanzi