Il dossier francese sulle armi batteriologiche in Siria
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Il dossier francese sulle armi batteriologiche in Siria

Può il report ONU rompere l'accordo sulla Siria? In caso contrario, c’è pronta una campagna sul virus del vaiolo. Le rivelazioni di Le Monde

(Lookout News)

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, non poteva dirlo in maniera più esplicita: “In Siria le Nazioni Unite confermano oggettivamente e inequivocabilmente l’uso di armi chimiche, si tratta di un crimine di guerra, le prove sono schiaccianti e inconfutabili”. Aggiunge poi il Segretario: “Si tratta dell’attacco peggiore dai tempi dell’Iraq di Saddam Hussein”.

E adesso che succede? Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov - reduce da un successo diplomatico memorabile - commenta così le dichiarazioni di Ban Ki-Moon: “Si rischia di distruggere gli sforzi di pace”, se la conseguente risoluzione ONU farà riferimento all’uso della forza (il famoso Chapter VII). Con ciò malcelando il nervosismo che Lavrov condivide con il presidente Vladimir Putin dopo le conclusioni del dossier.

Parallelamente, Usa, Gran Bretagna e Francia si riallineano e spingono per riprendere il controllo della trattativa, ribadendo che la risoluzione dev’essere “forte, robusta e chiusa entro questa settimana”, in modo da imporre una tabella di marcia serrata per consentire la messa sotto controllo delle armi chimiche.

Le rivelazioni “clamorose” di Le Monde

Ma c’è di più: forti dell’endorsement delle Nazioni Unite, i leader occidentali rilanciano e confezionano in Europa un nuovo scoop che vorrebbe sollevare sdegno nei confronti del regime siriano e creare consenso intorno alla coalizione pro-intervento.

A capitanare l’operazione è il quotidiano francese Le Monde, secondo cui il regime di Assad non solo dispone di ingenti arsenali chimici - come già i servizi segreti avevano affermato e come l’ONU conferma - ma sarebbe anche in possesso del virus del vaiolo, che si riteneva debellato dalla fine degli anni Settanta. Dunque, in Siria adesso si vorrebbero far entrare in scena anche le armi batteriologiche.

Va ricordato che il ruolo della stampa francese è stato quantomeno ambiguo in passato - vedi la guerra in Libia contro il Colonnello Gheddafi - e adesso che l’Eliseo è andato ben oltre le trattative, sostenendo che un attacco in Siria resta necessario, sembra di notare un tentativo di montare ad arte la stampa al fine di avvalorare la tesi secondo cui l’attacco è giustificato dal pericolo oggettivo che l’esercito siriano nasconda molte altre sorprese negative, tali da ledere (ancora) i diritti umani.

Avendo perso il treno del primo attacco, gli interventisti potrebbero così avere una seconda chance. Una teoria spaventosa, al pari dell’esistenza di armi batteriologiche in mano a un dittatore in guerra. Ma cosa sappiamo esattamente delle armi batteriologiche?

Le armi biologiche in Siria

Nel luglio 2012, il ministro degli Esteri siriano, Jihad Makdissi, disse che la Siria non avrebbe “mai usato armi chimiche o biologiche” e che l'esercito siriano controllava “tutte le scorte e i siti di stoccaggio” di armi non convenzionali, a conferma dell’esistenza de facto di un programma siriano di sviluppo armi letali.

Rilette oggi, quelle parole suonano piuttosto inquietanti e offrono, se non una conferma, un indizio indiretto della loro esistenza in Siria. Soprattutto alla luce delle conclusioni degli ispettori ONU, che gli uomini dell’intelligence USA, francese e inglese, avevano già anticipato.

Ad ogni modo, secondo quelle fonti, le armi biologiche in Siria esistono: i programmi sviluppati dagli scienziati di Assad relativi al virus del vaiolo, verrebbero gestiti in un moderno centro di ricerca e studi scientifici a Damasco, mentre altri laboratori governativi sorgerebbero anche ad Aleppo e a Homs, dove unità specifiche lavorano su ricerca e sviluppo di agenti patogeni.

I test russi sul vaiolo
Secondo Jill Bellamy Van Aalst e Olivier Guitta, autori dell’articolo di Le Monde ed entrambi esperti di guerra biologica, i programmi di Assad sulle armi biologiche sarebbero gestiti in un moderno centro di ricerca e studi scientifici a Damasco, e laboratori governativi sorgerebbero anche ad Aleppo e a Homs, dove unità specifiche lavorano su ricerca e sviluppo di agenti patogeni.

A leggere la storia del virus del vaiolo, come per le armi chimiche rispuntano i russi: nel 1947 in Russia fu eretto il primo centro di ricerca per la sperimentazione del vaiolo nella città di Sergiev Posad, non lontano da Mosca. Ma è sul Lago d’Aral (oggi al confine tra Kazakhstan e Uzbekistan) che i ricercatori sovietici testarono le varianti di questo virus, ovvero il luogo dove già Stalin pensò di realizzare siti nucleari e dove negli anni successivi vennero eseguiti decine di test militari.

I risultati, già all’epoca, dimostrarono un innalzamento costante del tasso di mortalità, al punto che il Lago fu a lungo interdetto alla navigazione. Curioso il fatto che un incidente occorso negli anni Settanta durante la navigazione di una nave addetta ai test e ricerche sulle armi biologiche provocò un’epidemia che si diffuse alla città di Aralsk, dove i tecnici e i marinai sbarcarono con i campioni prelevati nelle acque del lago.

Del fatto fu prontamente informato il capo del KGB dell’epoca: il mitico Jurij Andropov, futuro numero uno del Cremlino e l’uomo che più a lungo di chiunque altro ha servito il KGB nella storia dell’Unione Sovietica, dal 1967 al 1982.

Andropov, Putin e il KGB

Andropov è lo stesso uomo che, negli anni Settanta, prese sotto la sua ala una serie di giovani ed entusiaste reclute, che avrebbero poi fatto una grande carriera e scalato i vertici del Cremlino. Di chi stiamo parlando? Di Vladimir Putin, ovviamente: il presidente ha sempre considerato Andropov come un suo “eroe personale” e non ha mai mancato di rendere omaggio a ogni anniversario del Segretario del Partito Comunista, fino ad arrivare ad erigergli statue in tutta la Russia a metà degli anni Duemila.

Ora, tra le righe di questa storia un lettore attento può leggere anche il tentativo da parte dell’Occidente di screditare lo stesso presidente Vladimir Putin - ex KGB negli stessi anni delle sperimentazioni - proprio nelle ore in cui la sua popolarità e credibilità hanno conosciuto un inaspettato picco positivo.

Perché Assad dovrebbe usare le armi batteriologiche?
Va detto, però, che le armi batteriologiche costituiscono un pericolo sia per chi ne subisce l’attacco sia per chi lo lancia, perché non c’è certezza alcuna di essere completamente al riparo dal contagio. Questo vale ancora di più nel caso di una guerra civile, dove le forze in campo non sono divise da chiare linee di demarcazione.

Bashar Assad, costretto da Mosca ad ammettere l’esistenza di arsenali chimici in suo possesso, adesso ha tutto l’interesse a che tale arsenale sia smantellato da tecnici ed esperti esterni (i quali si accolleranno non solo il trasporto ma anche le spese delle operazioni, fatto certo non indifferente al regime e, anzi, estremamente conveniente vista la difficoltà oggettiva nel rimuovere le armi chimiche).

Ed è ancor più evidente che il regime non ha alcun interesse a provocare nuovi incidenti diplomatici. Così come non avrebbe senso che Assad minacciasse un attacco batteriologico contro i suoi nemici, cosa che lo condannerebbe con certezza a un attacco punitivo. Ma forse questo è proprio quello che qualcuno spera.

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Luciano Tirinnanzi