Monti candidato, Pd spiazzato
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Monti candidato, Pd spiazzato

La decisione del premier, preannunciata da tanti indizi, agita i sonni di Bersani e apre una serie di interrogativi per il centrodestra berlusconiano

Sono stato domenica alla manifestazione “montiana” del PdL al teatro Olimpico a Roma, ho visto e letto quel che tutti abbiamo visto e letto e sono arrivato ad una conclusione che spero sia confermata dai fatti, visto che Monti dovrebbe parlare pubblicamente alla fine della settimana. E la conclusione mi sembra questa: il presidente del Consiglio intende presentare una sua propria lista con cui chiedere agli italiani l’investitura come Presidente del Consiglio. Questa decisione crea una serie di problemi diplomatici a destra, e un vero sconquasso a sinistra. Uno sconquasso sintetizzato dalla stizza rabbiosa di D’Alema, il quel ha detto di considerare un tale progetto di dubbia moralità, visto che andrebbe a colpire il PD, partito che ritiene di aver sostenuto Monti con particolare vigore. Insomma, come dire: “Ingrato, tu pugnali alla schiena ch ti ha portato a Palazzo Chigi come tecnico”

Quello di D’Alema è stato il primo segnale, il secondo è venuto da Bersani il quale ha un po’ troppo spesso sbandierato l’autocertificazione di serenità: “Noi siamo sereni”, “accoglieremo con serenità le decisioni di Monti”, “siamo tranquilli” e così via. Segno evidente di nervosismo.

Un altro segnale evidente che hanno colto tutti coloro che hanno visto i telegiornali di domenica 16 dicembre. Un Giorgio Napolitano di pessimo umore marcia nel Palazzo del Quirinale inseguito da una giornalista che gli chiede che cosa farà Monti, con cui il presidente aveva avuto un colloquio di un’ora nella mattinata: “Lo dirà lui, sarà lui a dire quello che intende fare”. Fuori dai gangheri. Perché? Evidentemente perché anche Napolitano si sente come Geppetto che si vede sfuggire Pinocchio che aveva con tanto amore intagliato e vestito.

E ancora: nell’articolessa domenicale di domenica, Eugenio Scalfari mette in guardia Monti dalla “tentazione” ricordando che anche Gesù resistette al demonio e usando una terminologia più pretesca che cattolica. Per Scalfari, come per Napolitano e per Bersani, Mario Monti avrebbe dovuto considerarsi “en réserve pour la République”, cioè un Cincinnato che dopo aver salvato la patria se ne torna al suo orto, o alla sua università, senza nulla pretendere o nulla fare.

La decisione di Monti, preannunciata da tanti indizi – anche il ministro Riccardi si è fatto suo portavoce assicurando che il presidente del Consiglio parlerà agli italiani per illustrare la sua scelta di campo, mette il segretario del PD Pierluigi Bersani di fronte a una verità di fatto cui non si può sfuggire: Monti – per quanto amico – scende nell’arena come suo concorrente diretto per togliergli i voti e per togliergli la poltrona di primo ministro su cui Bersani si sentiva già seduto. Dunque, al di là delle continue frasi affettuose, gli abbracci e i baci, in qualsiasi modo Monti farà campagna elettorale, la farà come concorrente, come antagonista e in definitiva come avversario di Bersani che hià si sentiva la vittoria in tasca. I test sugli elettori dicono che il partito di Monti, benché non esista neanche sulla carta, già vale l’undici per cento e cresce, il PD si vede erodere leggermente il consenso ottenuto alle primarie, mentre il PDL ha conquistato due punti, dal 14 al 16 per cento, grazie a Berlusconi che si è gettato a corpo morto nella campagna elettorale occupando il programma di domenica di Canale Cinque, sfidando le critiche violentissime che subito si sono scatenate.

Se e quando Monti annuncerà le proprie liste, la percentuale del suo non-partito è destinata soltanto a salire e quella del PD a decrescere, anche perché i sondaggi dimostrano che oggi sette elettori su dieci di quelli che voterebbero per lui vengono dal PD e soltanto tre dal PDL.

E veniamo al PDL. Come ho detto all’inizio, sono andato al teatro Olimpico domenica mattina a Roma, alla manifestazione “Italia popolare” che era stata annunciata come una manifestazione pro-Monti e di quasi rottura con Berlusconi. Be’, è stata tutto il contrario: è stata una manifestazione tutta interna al PDL, aperta dal sindaco di Roma Alemanno e chiusa da Angelino Alfano, in cui hanno parlato i due capigruppo di Camera e Senato Cicchitto e Quagliariello, con Formigoni, D’Urso, Sacconi, Frattini via telefono, e tutti i quadri istituzionali. L’unico che si è distaccato con più nettezza è stato Mauro il capogruppo nel Parlamento europeo e un pochino Lupi, vice presidente della Camera e esponente di Comunione e Liberazione. Nessuno strappo, nessuna prova di antiberlusconismo, ma anzi tutto è avvenuto col suggello del segretario el partito arrivato direttamente da Arcore. Come manifestazione pro-Monti è stata flebile e semmai molto preoccupata di non mandare segnali sbagliati.

La posizione di questo gruppo dirigente del PDL è questa: Monti senza di noi non vince le elezioni e soltanto con noi può vincerle. Ha di fronte a sé un’occasione storica, la colga. Ma se vuole coglierla deve accettare l’investitura ufficiale del PDL, o meglio del suo presidente Berlusconi. Graficamente, questo gruppo vede Monti inginocchiato davanti a Berlusconi che con lo spadone sulla spalla lo investe come suo successore. E questa è, per ora almeno, una scena improbabile, per non dire impossibile.

Mario Monti infatti è molto irritato con Alfano e anche con Cicchitto, per non dire con Berlusconi, per essere stato da loro sfiduciato e almeno in prima battuta non vuole sponsorizzazioni. Almeno, secondo logica, senza aver prima visto a ridosso delle elezioni quanto vale davvero il suo partito e di quanti e quali sostegni avrebbe bisogno per vincere. In politica, come ripeto ogni volta a rischio di annoiare i miei lettori, valgono sempre e soltanto le leggi della fisica e della logica: pesi e contrappesi, vuoti e pieni, numeri contro numeri.

Per ora è presto per questi calcoli che prenderanno forma più tardi.

Lunedì, ieri, Napolitano ha fatto una dichiarazione che, per la sua ovvietà, appare bizzarra: ha confermato – ed è questa l’ovvietà – che sarà lui e soltanto lui a dare l’incarico al nuovo presidente del Consiglio dopo le elezioni. Perché l’ha detto? La Costituzione affida a lui il compito dell’incarico che va dato con il nostro sistema a chi vince le elezioni e che abbia in Parlamento una  maggioranza. Per il Capo dello Stato non dovrebbero esistere margini di intervento, e invece Napolitano ha voluto dire il contrario: “Badate, che non sarò soltanto io a decidere chi ha vinto”, il che non è esattamente vero. Ma anche questo dettaglio ci sembra confermare la stizza del presidente della Repubblica, la quale riflette del resto quella del suo partito di provenienza.

Dunque, pare di capire sommando membro a membro i fatti e le azioni, il PD teme che in definitiva Monti voglia vincere scardinando la sinistra, stabilire da subito un’alleanza con il centro di Casini e di Montezemolo e puntare a portarsi via dal PD, quando sarà il momento, l’ala destra di Matteo Renzi, da contrapporre a quella per lui politicamente esiziale e indigesta di Nichi Vendola. E dunque, ancora una volta, il PD vede l’imminente mossa di Monti come un colpo al cuore. Al suo cuore. E proprio per rassicurare Bersani lunedì Monti ha incontrato a lungo il segretario del PD per rassicurarlo sui nuovi scenari, ma ha confermato la sua intenzione di ricevere una investitura popolare.

Inoltre, impossibile fare i conti senza l’oste e l’oste è Grillo, in leggera ma continua discesa e che tuttavia viene quotato, con il suo movimento cinque stelle, al secondo posto nelle intenzioni di voto. Ma queste intenzioni di voto sono anch’esse un patrimonio in fase di scongelamento, visto che man mano che il gioco si fa sorprendente, interessante e diverso da quello degli scenari precedenti, cresce il numero di coloro che si davano per astenuti e indecisi e che ora potrebbero trovare diversi forni presso cui comperare il pane.

Non mi sento di andare più in là con le previsioni, ma occorre dare un’occhiata a destra dove La Russa ha annunciato il via libera per una lista di centro-destra a forte componente AN, mentre la Lega nicchia e non vuole ancora dare risposte a livello nazionale. Anche lì l’offerta di Berlusconi è stata netta: von oi a livello nazionale o facciamo cadere le giunte di Veneto e Piemonte. Maroni ha risposto a brutto muso, ha detto a Berlusconi di non avere intenzione di accettare il Cavaliere come candidato premier, ma poi ha rinunciato a dire un no definitivo e ha chiesto tempo.

E Berlusconi? Si sta comportando, aspettando le decisioni di Monti, come se fosse lui il candidato premier, anche se a formalmente candida Alfano. Il povero Alfano ci è sembrato l’agnello sacrificale di questo primo round, perché viene sempre nominato come candidato di seconda scelta: se Monti non accetta il patto col PdL, allora scende in campo Alfano. Se Maroni convincesse Berlusconi a farsi da parte, allora scenderebbe in campo Alfano, ma la verità è che Berlusconi attende al varco il no di Monti per dichiarare se stesso candidato unico del PDL e correre lui per la carica di primo ministro. Se così non fosse, che senso avrebbe il densissimo programma di Berlusconi di apparire in tutte le trasmissioni televisive, fare un pressing da campagna elettorale già in atto e dare il proprio volto a questa campagna? Berlusconi è sicuro di poter ripetere un miracolo come quello che gli fece vincere la battaglia contro la gioiosa macchina da guerra di Occhetto e l’uomo è capace di tutto anche se i suoi margini appaiono oggi molto più ristretti di vent’anni fa. Sarà una grande partita politica, piena di incognite, misteri, sorprese. E noi ci divertiremo a raccontarla.

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Paolo Guzzanti