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Valeria Solesin, tutto si ricompone davanti alla sua bara

La pace religiosa, le emozioni, la partecipazione. Ecco perché i funerali della ragazza uccisa a Parigi sono stati un momento dolorosissimo ma importante

Si ricompone tutto nel saluto corale a Valeria Solesin, la 26enne veneziana uccisa da una sventagliata di mitra nell’attacco jihadista al Teatro Bataclan di Parigi. Si ricompone la pace religiosa coi rappresentanti delle tre grandi confessioni, compresa quella islamica rappresentata dall’Imam di Venezia che implora Allah di accogliere Valeria nella sua gloria. Allah in nome del quale Valeria è stata massacrata: 2 colpi, uno in faccia, l’altro alla schiena. È morta dissanguata, Valeria, tra le braccia del fidanzato, non ha avuto il tempo, forse, di capire l’assurdità sanguinaria di quanto le stava accadendo in nome di una guerra definita santa (quale blasfemia).

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Tutto si ricompone. L’odio di chi attacca l’Occidente con l’arroganza di ritenersi investito di un compito definitivo (affermare e diffondere l’Islam nella versione integralista esclusiva, sotto le bandiere nere del Califfato) e la sofferenza dei parenti e amici e concittadini di chi è caduto innocente. Anni e anni di ammazzamenti e battaglie s’infrangono come risacche di ferocia e terrore nelle parole pronunciate al funerale di Valeria (Valeria simbolo di una generazione di cittadini europei che si sentono in patria nel mondo, e che generosamente si sacrificano in atti di volontariato contro la deriva bellica con l’ostinazione di un coinvolgimento personale di pace).

Il livello emotivo era così alto, nella Basilica di San Marco, che sarebbe apparso fuori luogo pronunciare anche solo una parola di odio, rancore o vendetta, per quell’esecuzione eseguita senza giustizia. La ricomposizione ha creato una sorta di bolla ideale attorno alla famiglia di Valeria, al padre e alla madre che fin dall’inizio hanno parlato il linguaggio dolce del dolore che non reclama altro sangue. Che non si tramuta in faida.

Ma nelle stesse ore i terroristi non si sono fermati. In Tunisia hanno colpito di nuovo, dopo aver attaccato e ucciso nei giorni scorsi in un albergo di Bamako, Mali. Il disegno è globale. Alcuni familiari delle vittime del 13 Novembre, compresi i genitori di Valeria, hanno detto chiaro che la loro vittoria sul terrore consiste nel respingere la costrizione a odiare qualcuno, o una religione, o una comunità, perché l’odio è il frutto del terrore. Come la vendetta. E né odio né vendetta sono “armi buone” contro il terrore.

Tutto si è ricomposto ed è stato bello, dolorosissimo ma bello. E, certo, è nel calore della partecipazione e condivisione, nella concordia delle voci e nella sintonia degli spiriti che può rinascere un barlume di umanità, un nucleo di nuova civiltà.

Bene. Però questa dimostrazione di pace che riscatta la guerra, di bontà che si oppone alla ferocia, non deve impedirci di reagire alla guerra con la guerra. Perché se non reagiamo continueremo a morire, confondendo gli spari e la musica.  

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ANSA/ANDREA MEROLA
Una panoramica su piazza San Marco, durante la solenne ceromonia funebre di Valeria Solesin, la giovane veneziana uccisa nell'attentato al Bataclan di Parigi, verso piazza San Marco, per la cerimonia funebre, oggi 24 novembre 2015.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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