Un sindaco serbo per Srebrenica? Sarebbe la vergogna dell'Europa
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Un sindaco serbo per Srebrenica? Sarebbe la vergogna dell'Europa

Il presidente serbo Nikolic, oggi a Roma, nega ancora che ci sia stato un genocidio nella cittadina massacrata dai serbi nel '95. Ottomila i morti

Il declino dell’Europa non ha solo il volto inquietante delle piazze invase da disoccupati e indignati, o delle fabbriche vuote che non riescono più a dare lavoro. La vergogna dell’Europa va tragicamente in scena in Bosnia, nelle elezioni amministrative che vedono trionfare i partiti etnici - il Partito musulmano di azione democratica (Sda) e il Partito democratico serbo (Sds) - sui socialdemocratici che avevano conquistato la maggioranza delle amministrazioni bosniache nella precedente consultazione.

Ha il volto del presidente serbo Tomislav Nikolic in visita oggi in Italia, primo Paese Ue del suo tour europeo (sarà ricevuto anche da Napolitano), che al Corriere della Seranega che ci sia stato un “genocidio” a Srebrenica nel ‘95 e dice che considera innocenti finché non saranno giudicati colpevoli il generale Mladic e Radovan Karadzic, responsabili della bonifica etnica in Bosnia e di inenarrabili massacri nel cuore dell’Europa. Entrambi sono all’Aja sotto processo, ma per la storia e per il mondo (tutto tranne la Serbia di Nikolic) sono già colpevoli, come lo sarebbe stato Hitler se fosse sopravvissuto nel suo bunker e fosse andato alla sbarra a Norimberga.  

La vergogna ha il volto di Vesna Kocevic, che rischia di diventare sindaco di Srebrenica. Lo scrutinio dell’88 per cento di schede la vede in testa con 3.127 voti contro i 2.548 del candidato musulmano al quale ora potrebbe subentrare, come primo sindaco serbo della cittadina che resta negli annali della storia d’Europa e delle Nazioni Unite come un’onta, un disonore, uno snodo cruciale e in qualche modo definitivo. Mancano ancora molti voti di musulmani residenti lontano da Srebrenica, ma la possibilità di una vittoria della Kocevic sarebbe scandalosamente normale. Il frutto della bonifica etnica.

La Bosnia sembra lontana, ma non lo è: luogo di una tragedia permanente e silenziosa che ancora oggi avvelena la ex Jugoslavia. A Srebrenica, la cittadina a soli 10 chilometri dalla Drina che separa la Bosnia dalla Serbia, 17 anni fa l’esercito serbo-bosniaco di Mladic, generale e criminale, compì il massacro: 8 mila musulmani (quasi il triplo di vittime delle torri gemelle) uccisi nell’assedio dell’enclave musulmana che l’Onu aveva proclamato “zona protetta”.

Molti, l’11 luglio 1995, il giorno dell’avanzata serba, cercarono rifugio da tank e fucili nei giardini davanti alla base di Potocari dei 387 caschi blu olandesi inviati dal Palazzo di Vetro come scudo per la popolazione civile. Uno scudo di cartone. I caschi blu assistettero inerti ai comizi di Mladic che accarezzava i biondi ragazzini musulmani dicendo “andrà tutto bene” e poi, invece, ordinò la deportazione con esecuzioni di massa, sevizie e torture nelle scuole, nelle Case della Cultura, nei campi di calcio trasformati in lager. Sì, un genocidio. E tutti sapevano. E nessuno mosse un dito.

Dopo la guerra, ai musulmani di Srebrenica fu consentito di votare per posta, nessuno s’illudeva che potesse ristabilirsi altrimenti l’equilibrio etnico di prima del conflitto (73 per cento di musulmani e 22 di serbi), né le autorità serbe hanno mai riconosciuto che a Srebrenica si consumò una tragedia paragonabile alle stragi naziste e comuniste della Seconda guerra mondiale. Vesna Kocevic non ha il coraggio di pronunciare la parola “genocidio”. Si limita a dire che i musulmani non dovrebbero temerla, perché nessuno meglio di lei saprebbe come riconciliare serbi e musulmani che rappresentano metà e metà della popolazione rimasta.

Ci sono stati serbi di Belgrado che per votare hanno spacciato come validi documenti d’identità fasulli con l’intento di far pendere la bilancia etnica dalla parte dei massacratori di allora. Un duello all’ultimo voto, simbolico ma anche reale. Se a Srebrenica, inserita nell’entità serba della Bosnia, prevarrà un sindaco serbo, sarà la consacrazione del disegno criminale del generale Mladic e dei suoi killer professionali, la vittoria del nazionalismo omicida e dei bonificatori etnici, il de profundis per migliaia di vittime innocenti. E dovremmo riconoscere che fece bene a non credere nel futuro e nella vita la ragazza ventenne che s’impiccò a un albero, in maglioncino rosso e gonna bianca, attraversando in fuga i boschi per raggiungere Tuzla dopo la presa della sua città.

Era quasi salva, ma capì che non si sarebbe salvata comunque.

Quella ragazza doveva chiamarsi Europa.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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