Se la politica balbetta sulla corruzione
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Se la politica balbetta sulla corruzione

È uno scandalo che ci siano voluti trefiducie per  stabilire una regola che in qualsiasi parte del mondo appartiene alla prassi

Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame che non sa cos’è il pudore”. La vicenda della legge anticorruzione fa pensare alle parole della canzone di Battiato. No, nessuna esagerazione. È davvero uno scandalo che ci siano voluti tre voti di fiducia per stabilire una regola che in qualsiasi parte del mondo civile (e spesso anche incivile) appartiene alla prassi, si dà per scontato e non richiederebbe una norma specifica. È mai possibile che si debba legiferare per imporre ai partiti di escludere dalle candidature al Parlamento, dalle cariche pubbliche, i delinquenti? E non basta. Neppure sotto la pressione distruttiva e montante del movimento 5 Stelle di Grillo, i parlamentari di questo scorcio agonico di legislatura hanno l’intelligenza o il pudore di capire che tra loro e i cittadini il solco è ormai incolmabile e che spettacoli come quelli a cui abbiamo assistito e assistiamo in questi giorni tra Montecitorio e Palazzo Madama sono solo l’ennesimo colpo di grazia sulle residue chance di credibilità della classe politica?

E poi questo vergognoso prendere tempo e cercare di procrastinare al 2018, quindi neppure dalle prossime elezioni, lo sbarramento verso mafiosi, corrotti, corruttori, assassini, stupratori, ladri, pedofili e usurai… Certo che il ministro della Giustizia, Severino, rassicura l’opinione pubblica: non sarà così, le norme entreranno in vigore prima. Ma bisogna sempre star là con gli occhi puntati per correggere i blitz dei parlamentari che puntano soltanto a salvare se stessi e continuare a esercitare un potere ormai screditato. E tutto questo mentre il paese va a rotoli, letteralmente.

Ma le responsabilità non sono solo dei partiti e delle loro classi politiche. No. La responsabilità è anche, paradossalmente, dei magistrati, alcuni dei quali, col sostegno del Csm e delle correnti che li rappresentano, hanno abusato a loro volta di un potere che dovrebbe essere super partes e che invece, spesso, viene brandito senza alcuna delicatezza e senza vergogna per martellare e devastare uno schieramento politico piuttosto che un altro. A volte, la resistenza dei partiti nasce proprio dalla sfiducia (più che giustificata) nell’imparzialità dei magistrati e nella loro capacità, e dalla consapevolezza (più che legittima) che qualsiasi negligenza pur colpevole delle toghe rimane comunque impunita e può rovinare una carriera politica senza possibilità di riabilitazione. Abbiamo troppi esempi in questo senso: politici e governanti la cui immagine è stata massacrata e che si ritrovano assolti dopo molti anni.

Ultima considerazione: è penoso che ci si concentri sulla legge anti-corruzione, quando il paese ha anzitutto bisogno di una radicale, profonda e spassionata riforma della giustizia, le cui lentezze e i cui errori sono un macigno sulla possibilità di crescita dell’intero paese, un ostacolo a nuovi investimenti stranieri, una palla al piede delle imprese che già lavorano. Povera patria, davvero.  

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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