Sarkò, vittima della propria arroganza
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Sarkò, vittima della propria arroganza

Colpevole o meno, Nicolas non è stato un buon presidente. E nemmeno un amico del nostro Paese. Le relazioni pericolose dell'ex presidente

 

Grande comunicatore, ma senza carisma presidenziale. Nicolas Sarkozy non ha mai convinto del tutto i francesi. Molti che pure lo avevano votato, trovavano distonico il suo modo di essere e di apparire rispetto allo “stile” classico dell’Eliseo, alla grande interpretazione del ruolo presidenziale di Chirac e, soprattutto, di Mitterrand. Alla fine non gli hanno giovato amori e tradimenti, la presenza patinata ma ingombrante di Carla Bruni attrice e cantante, la frequentazione quasi ostentata di un controverso ambiente neo-imprenditoriale sfondato di soldi ma privo di cultura tra yacht, champagne e gioielli, ben diverso dallo sfarzo imperiale eppur sobrio dei predecessori.

Il colpo di grazia è arrivato col declino inesorabile della Francia di Sarkò, dal crollo di tutti gli indicatori economici alla perdita di peso e prestigio a livello internazionale. L’opinione pubblica d’Oltralpe si è resac conto che al di là dello scintillio delle conferenze stampa allestite con spettacolari palchi e video-wall, l’uomo non aveva spessore e non produceva risultati. E pur di non rieleggerlo, i francesi hanno consentito l’ascesa all’Eliseo di un successore grigio, atono, afono come François Hollande (è stata proprio la doppietta Sarkozy-Hollande a preparare il trionfo di Marine Le Pen nelle elezioni europee).

Oggi Sarkò, che meditava il rientro in politica, si ritrova sotto inchiesta, nella scomoda posizione di doversi difendere non solo da accuse pesanti ma anche dalla curiosità dei media (lui che da presidente aveva assistito “senza sporcarsi le mani” al siluramento di giornalisti sgraditi). Ricordo una vignetta del giornale economico di Mosca, Kommersant: un busto di Napoleone, De Gaulle sulle spalle, Sarkò che lancia aeroplanini seduto sulla visiera del cappello del Generale. Erano i giorni della guerra in Libia, estremo tentativo di un Sarkozy a fine mandato di recuperare il consenso perduto in vista di un’improbabile rielezione. Un eccesso di sicurezza lo aveva portato a commettere troppe gaffe. Tra fuori onda e indiscrezioni erano emersi i suoi sprezzanti giudizi su capi di governo come l’israeliano Netanyahu (“bugiardo”) e il greco Papandreu (“pazzo depresso”). Aveva scioccato i francesi parlando in pubblico dell’allattamento di Giulia, la figlia avuta da Carlà. E durante una cerimonia alla Legion d’Onore aveva sbagliato a pronunciare il nome del grande semiologo Roland Barthes mettendo l’accento sulla “e” (come se noi dicessimo Federico Fèllini). 

Capitolo (penoso) a parte, quello con Berlusconi e con l’Italia. Sarkozy aveva stretto un legame di ferro con Angela Merkel, contro le continue sollecitazioni italiane a allentare i vincoli di rigore. E si era letteralmente piegato alla conduzione teutonica dell’Unione. Ne stiamo ancora pagando le conseguenze. In più, la formazione politica da sinistra ideologica della Bruni aveva secondo qualcuno procacciato la fuga dalla Francia in Brasile del terrorista Cesare Battisti, mai più estradato in Italia. E chi non ricorda il sorrisino con la Merkel, a una domanda su Berlusconi mentre l’Italia lottava per sfuggire al “programma” della Troika e del Fondo monetario internazionale e si era assunta impegni di risanamento? Sarkò è arrivato addirittura a minacciare di mandare in soffitta l’Europa di Schengen, e ha chiuso la frontiera con l’Italia per non doversi sobbarcare un solo profugo. Ma il vero colpo basso l’ha inferto a noi (e a tutta l’Europa) scatenando la guerra in Libia, dando l’ordine ai suoi aerei di bombardare senza prima avvertire gli alleati, e avallando il linciaggio di Gheddafi nonostante che proprio dal Colonnello, secondo l’accusa di uno dei figli dell’ex dittatore, Sarkò avesse ricevuto fondi illegali per la campagna presidenziale del 2007. Da allora la Libia è nel caos, il Jihadismo e Al-Qaedismo si sono diffusi nell’Africa settentrionale e sub-sahariana e l’Italia, che aveva in Gheddafi un “amico” capace di garantire stabilità energetica, cooperazione economica e collaborazione per prevenire l’esodo di migranti attraverso il Mediterraneo, si è trovata a dover risalire tutte le posizioni senza che altri paesi occidentali ne abbiano tratto un vero guadagno.

In fondo, Sarkozy è vittima della propria arroganza. Non c’è da rallegrarsi che sia sotto scacco, c’è piuttosto da sperare per la Francia (e per l’Europa) che sia riconosciuto innocente. Ma, certo, l’uomo non è simpatico, e non è un amico dell’Italia. 

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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