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Renzi e i magistrati: i retroscena dello scontro

Le ferie: eccolo il grande tema della giustizia su cui sale la tensione tra premier e togati. Segno di come siano ancora casta con privilegi anacronistici

Il grande tema della giustizia, per i magistrati, è diventato quello delle ferie: la riduzione delle vacanze (un primato appannaggio delle toghe, ne sanno qualcosa i cittadini costretti a scavallare l’estate prima di ottenere udienze e sentenze). Ed è su quello che si è incentrata, mediaticamente, la cifra di contestazione politico-istituzionale che ha attraversato le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario. Raramente i vertici degli uffici avevano messo in campo tanta vis polemica come quella che ha indotto il procuratore generale di Torino, Marcello Maddalena, storico esponente della corrente (una volta) moderata della magistratura, a paragonare il premier Renzi “al personaggio di Napoleone nella Fattoria degli animali di orwelliana memoria” e “a far lavorare gli altri fino a farli crepare dalla fatica, come il cavallo Gondrano”.

Critiche alle quali Renzi ha replicato, con sprezzo del pericolo, definendole “ridicole”, e rimarcando che l’Italia “è la patria del diritto, non delle ferie”. Insomma, la tensione che resta alta fra il premier e la magistratura segnala che le toghe sono davvero l’ultima casta, l’espressione istituzionale dell’anti-politica, un mondo a parte, a sé stante, chiuso nella difesa di privilegi anacronistici a fronte di risultati che non appaiono eccelsi. E questo grazie anche, forse, a un oggettivo potere di ricatto che è stato il cuore della battaglia politica degli ultimi vent’anni. Ecco perché la legge elettorale, i diritti sindacali, l’architettura degli organi costituzionali, sono finiti nel mirino riformatore del governo (con alterni e in qualche caso dubbi successi), mentre la giustizia resta quasi intonsa e intangibile.

Ma è quello il braccio di ferro che catalizzerebbe il passaggio a una nuova Repubblica, non più fondata sul potere di contrasto di una casta strutturata in correnti “politiche” al suo interno (quindi estranea ai criteri meritocratici e/o elettivi di qualsiasi società moderna e avanzata). Ed è per questo che il clima resta afoso, nel confronto fra Renzi e la parte militante della magistratura. Non aiuta a ridurre certa arroganza neppure la notizia, purtroppo minimizzata da molti media (almeno rispetto alle articolesse-veline di segno contrario degli ultimi mesi), che il famoso Dna di Massimo Giuseppe Bossetti, indicato come l’assassino di Yara, non è la “prova regina” della sua colpevolezza, anzi. La prova determinante, ovvero l’analisi del “Dna mitocondriale”, non coinciderebbe con le aspettative dell’accusa, non avrebbe riscontro sul corpo della ragazza. Di errore in errore, di appello in appello (l’uno che smentisce l’altro), è difficile continuare ad avere piena fiducia nella giustizia giusta da Paese civile.

Ma il problema sembrerebbe essere quello di far riposare abbastanza i magistrati, a dispetto delle lunghe attese di giustizia, e intanto sottacere lo scandalo di una casta giudiziaria nella quale si fa carriera per affiliazioni correntizie e che non riesce a stare al suo posto svolgendo la sua altissima funzione in opportuno se non doveroso silenzio e rispetto dei ruoli.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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