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Omicidi famigliari: come la libertà distorta genera mostri

Domande e riflessioni sugli ultimi fatti di cronaca in un mondo in cui la violenza virtuale aumenta i danni di una realtà percepita come "fumettizzata"

Quanto inchiostro sui quotidiani, quante analisi in Tv, quante argute riflessioni morali, filosofiche e giornalistiche o semplici reazioni sui social. Siamo tutti sgomenti davanti a Riccardo che incarica l’amico del cuore, Manuel, di uccidergli padre e madre a colpi d’ascia e lo aspetta nella stanza accanto mentre i genitori invocano il suo nome contro i fendenti di quel ragazzo che considerano di famiglia.

Quante domande dovremmo porci... Il vuoto nel quale matura un delitto così efferato è il frutto dei tempi o una patologia nel cervello dei “piccoli assassini” (per dirla col titolo di un racconto di Ray Bradbury del 1946)?

ferrara-omicio-genitoriL'esterno dell'abitazione dove sono stati uccisi Salvatore Vincelli e Nunzia Di Gianni, Pontelangorino (Ferrara), 10 Gennaio 2017ANSA

Chi ha l’età ricorda il clamore per la strage domestica di Doretta Graneris che insieme al fidanzato uccise padre, madre, nonni materni e fratellino di 13 anni. Era il 1975: non c’erano le playstation, non c’era Internet, non c’erano gli smartphone. Ma la lucida incoscienza era forse la stessa di Riccardo e Manuel, o di Erika e Omar.

Anche allora, nel delitto della Graneris, c’era uno stringente rapporto di coppia nel quale il delitto era stato vissuto in anticipo come in un mondo a parte, lontano dalla realtà e dalla legge (del codice penale come del cuore e dell’amor filiale).

E che dire delle deviazioni dell’amore paterno e materno? Non sono solo i figli a uccidere i genitori. Ci sono genitori che sopprimono o tentano di sopprimere i figli.

È di questi giorni la storia della mamma che mette nel biberon della figlia di 3 anni sedativi in grado di spezzarle il cuore. In questo caso è stata evocata una sindrome precisa.

Nel caso di Riccardo, difficilmente qualcuno potrà incasellare clinicamente (credo) la decisione di togliere la vita ai genitori che lo rimproveravano per i pessimi risultati scolastici.

C’è chi ha sottolineato che nei parricidi e matricidi più recenti ricorrono tre elementi: l’overkilling (la sproporzione dei mezzi per uccidere, la stra-uccisione), l’incoscienza rispetto al delitto commesso (quindi l’assenza di pentimento) e la futilità dei motivi. Non so quanti di questi ingredienti siano davvero nuovi. Non so quanto siano legati alla vita virtuale che peraltro ciascuno di noi vive quando si affida agli strumenti della contemporaneità.

Si può uscire di testa se lo spazio di vita si riduce allo schermo di un telefonino o a un videogioco in cui la crudeltà sembra perdere la terza dimensione, quella della realtà, ovvero l’effettiva incidenza nella carne e nel corpo delle persone. E il sangue non è più sangue. Papà e mamma non sono più papà e mamma. Io non sono più io ma mi vedo agire e quello che faccio è un sogno. E ogni mezzo va bene, pur di conquistare la libertà dei miei eroi.

Io non ho certezze. Ho però il sospetto che la natura umana non sia oggi diversa da ieri, e che non abbia senso suggerire che i genitori siano più severi o affermare che l’educazione può impedire queste derive. I ragazzi che uccidono non hanno probabilmente motivi per essere più frustrati di altri: più poveri o più sfortunati nelle vicende personali.

Piuttosto, è la loro percezione del mondo, della famiglia e di se stessi a proiettarli in un altro universo, criminale, in cui tutto è possibile. Questo succede oggi come succedeva ieri.

Oggi forse la violenza virtuale rende più facile, quasi più naturale, fare danni in un mondo fumettizzato. Ma i meccanismi del cervello umano, la criminalità dei singoli, la crudeltà dei figli come dei padri, dei mariti, dei fidanzati, dei fratelli, non hanno età né epoca proprie.

Dobbiamo convivere con la malvagità umana e con la violenza, per quanto più facilmente innescata dall’abuso di scene squallide e cruente in Tv, al cinema o su Internet, oppure dal vuoto di valori o da morbosi rapporti di coppia tra amanti o amici, o da raptus e malattie mentali. Nell’uomo, in certi uomini, da sempre il senso di onnipotenza e il desiderio di libertà deviato generano mostri.

Dobbiamo anche rassegnarci a pensare che certi delitti non sono evitabili, forse neanche prevedibili, e che molto di quello che leggiamo sui segnali da capire è senno di poi o materia per esperti. Personalmente, di fronte agli ultimi fatti di cronaca, allargo le braccia e rinuncio a stupirmi, perché gli annali del crimine sono pieni di stragi familiari dalla notte dei tempi. E mi ostino a pensare alla normalità della famiglia come luogo in cui genitori e figli si amano di un amore vero.     

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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