Massimo D'Alema, il vino e la denuncia che non farà
ANSA/ ANGELO CARCONI
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Massimo D'Alema, il vino e la denuncia che non farà

A "Baffino" sono state poste semplici domande. A cui ha risposto con delle vere "intimidazioni". Senza farsi mancare, per carità, un gesto di cortesia...

È proprio un gran simpaticone Massimo D’Alema. Lo chiamano "Baffino", gli rimproverano l’arroganza dell’uomo di potere, la supponenza dell’ex capo di governo icona della sinistra, l’appartenenza alla vecchia guardia post-comunista, l’insofferenza per i giornalisti. Voglio dirlo con chiarezza: tutto questo non è vero. D’Alema è simpatico e avveduto. All’inviato di Virus (Rai2), Filippo Barone, che gli chiede un giudizio sull’opportunità di legare l’immagine del Pd e delle iniziative democratiche alla vendita del (suo) vino, D’Alema risponde chiedendo di ripetere la domanda. E chiede al giornalista di declinare le generalità per trasferirle ai suoi avvocati. Gli dice bello netto, senza giri di parole, che se il botta e risposta andrà in onda partirà la denuncia. Bene saperlo.

Ovviamente il botta e risposta andrà in onda, stasera, ma non credo che la denuncia ci sarà. D’Alema sa quel che fa, anche se sotto effetto della querelle enologica, e sa che non si querela una domanda, semmai si risponde. Al massimo, la si contesta.

Posso dirlo? Mi colpisce che un politico abituato a trattare coi grandi della Terra e grondante medaglie istituzionali si ritrovi a dover spiegare che non c’è nulla di male a vender vino per un ex presidente del Consiglio (infatti che male c’è?) a imprese che ne fanno dono per le feste comandate. Ma qualche ulteriore domanda ce l’avrei comunque: perché proprio i vini delle cantine D’Alema? E perché proprio a certe Coop? E perché i responsabili delle Coop parlano di vino con una fondazione politica invece che con una azienda vinicola? Nessun reato. Semplici domande.

Come quest’altra: D’Alema, nell’indignarsi per una domanda, è solo attento alla propria immagine o è anche sinceramente garantista? Già, perché non risultano “agli atti” paginate d’interviste come quelle da lui elargite a propria difesa e annunci di fracassi giudiziari per mettere un freno al malcostume (che tale è) nell’uso delle intercettazioni quando a farne le spese non sono esponenti della sinistra ma del centrodestra, specie se non indagati (come lui) eppure già sottoposti alla gogna dei processi sommari sui media (avrei qualche decina di esempi, ve li risparmio).

Se poi un giornalista come Barone di Virus fa il suo dovere, non rischierà la denuncia ma qualche brivido sì. Leggo alla voce “intimidazione” sulla Treccani: “Atto o parole di minaccia, che hanno lo scopo di incutere timore e costringere ad agire o a desistere da un’azione con lo stimolo della paura”. Ma D’Alema non ha intimidito, no, lui è un simpaticone. Al contrario: invece di invitare a desistere dal trasmettere l’intervista, ha “pregato” di farlo. Per poi far partire la denuncia. Un gesto di cortesia…

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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