Lo sfascio della scuola dietro il "giallo" dei lacrimogeni
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Lo sfascio della scuola dietro il "giallo" dei lacrimogeni

La guerra dei video nasconde le responsabilità della politica (e degli insegnanti) nel degrado scolastico

Il mondo è cambiato, eccome. I lacrimogeni non sono più quelli di una volta. Quando scendevi in piazza per protestare te li aspettavi, ti portavi il limone, soffrivi un po’ e sapevi che negli scontri, se un celerino riusciva a tirarti fuori dalla mischia c’era una buona dose di botte da scontare per i sassi che avevi tirato.

Una piccola guerriglia in un confronto che era duro per ammissione di entrambi gli schieramenti. Tutto un provocare, subire la carica, fuggire, tornare indietro, giocare al gatto e al topo. Poi una volta, parliamo degli anni ‘70, era più facile che la violenza degenerasse e che ci scappasse la pistolettata. Che non si sapeva mai da che parte venisse. La copertura mediatica era quelle delle radio militanti, che servivano anche per organizzare una qualche strategia militare della protesta.

Oggi è diverso. Ci sono i video amatoriali che possono modificare sul campo l’immagine dei due schieramenti. Basta una ripresa “indipendente” come in Val di Susa, che registra la provocazione verbalmente violenta di un no-Tav a un carabiniere che risponde con la professionalità migliore dell’Arma: il silenzio, la pazienza, la compostezza. E allora vincono le forze dell’ordine.

O, al contrario, i video che testimoniano (anche in senso legale) l’accanimento inutile e controproducente, quindi non professionale, di un poliziotto che manganella a freddo uno studente catturato, magari lo stesso che fino a un attimo prima protetto da un casco illegale aveva tirato sassi che fanno male. Poco importa: la polizia non può permettersi eccessi e allora è giusto fare indagini ed eventualmente passare a provvedimenti disciplinari.

Infine, c’è il video dal quale sembra di capire che addirittura dalle finestre del ministero della Giustizia siano partiti dei lacrimogeni a pioggia sul corteo in fuga dei “ragazzi”. Non è un bel vedere, se i palazzi delle istituzioni si trasformano in fortini dai quali un po’ vigliaccamente qualcuno delle forze dell’ordine che neppure si vede in faccia spara dritto sugli studenti in fuga lacrimogeni tutt’altro che innocui. Poi, però, con la lentezza anche quella poco professionale della risposta mediatica da parte della polizia, della Questura e dei ministri, scopri che forse quelle scie di fumo erano solo l’effetto a pioggia del rimbalzo di un lacrimogeno sparato in alto, “a parabola”, che ha colpito il tetto del ministero ed è ricaduto in basso come un fuoco d’artificio mal gestito.

Tutto questo serve a non capire i dati di fondo della protesta. Una protesta alimentata anche da una strumentalizzazione partita nelle classi, spesso a opera di insegnanti che hanno cercato di coinvolgere studenti e genitori in una contestazione incattivita più dalla prospettiva di dover lavorare più ore a scuola, che non dalla penuria di risorse e dal degrado dei mezzi messi a disposizione per insegnare. A cos’altro puntava la cosiddetta “didattica essenziale”, consistente nel limitare l’impegno degli insegnanti trasferendo in classe la correzione dei compiti e riducendo spiegazioni e altre attività didattiche? Molti professori, per amor proprio e amore del proprio lavoro, in teoria hanno aderito allo “sciopero bianco”, in realtà hanno continuato a svolgere il loro dovere. Ecco, dietro la cortina fumogena di manganellate e lacrimogeni (o bastonate e lancio di sassi al riparo di anonimi caschi da motorino), c’è lo sfascio di un sistema scolastico in cui gli studenti, per una volta, hanno responsabilità inferiori a quelle dei loro insegnanti e di una politica del governo che non è in grado, da decenni, di valorizzare la formazione. Anche così l’Italia scivola più in basso. Lacrimogeni a parte, sono e saranno lacrime per tutti.

E fughe all’estero.    

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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