Islam, l'Occidente e lo scontro culturale
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Islam, l'Occidente e lo scontro culturale

La rabbia arabo-islamica contro l'America e l'Europa non ha niente a che fare con le politiche del dialogo più o meno efficaci. È uno scontro tra culture. Che si reputano entrambe superiori. E poco potenti

Per una di quelle disgraziate coincidenze che gettano nello sconforto le redazioni, l’ultima copertina di Time è dedicata alla sconfitta di Osama e della sua rete terroristica. Titolo: “La fine di Al-Qaeda?”. Poco importa che vi sia un punto interrogativo. Un servizio dell’inviato Bobby Gosh spiega come gli Stati Uniti abbiano sostanzialmente vinto la guerra agli epigoni di Al-Qaeda nello Yemen.

Peccato che, dopo, sia esplosa in tutto il mondo, dalla Nigeria a Sidney, in Australia, la protesta araba e islamica, anti-americana e anti-occidentale (sono state attaccate anche le ambasciate di Germania e Regno Unito) nell’undicesimo anniversario dell’11/9 e a distanza di due mesi dalla diffusione su Internet del film denigratorio del Profeta MaomettoL’innocenza dei musulmani (uno dei produttori, un cristiano copto egiziano residente in California, è stato interrogato questa mattina dall’FBI).

Come ogni volta che riemerge la rabbia arabo-islamica, in Occidente ci chiediamo perché “loro” ci odiano. Sembra addirittura paradossale che mentre Time proclama la fine di Al-Qaeda venga ucciso a Bengasi, in Libia, probabilmente da un gruppo affiliato o allineato ad Al-Qaeda e dotato di armi pesanti come gli rpg (i lanciarazzi a spalla), l’ambasciatore degli Stati Uniti Chris Stevens che aveva aiutato, personalmente e per conto di Washington, i ribelli anti-Gheddafi e i la popolazione di Bengasi assediata dal Colonnello.

Assistiamo ora al solito florilegio di commenti che cercano e a volte pretendono di spiegare le “vere cause” dell’odio anti-occidentale. Chi parla di crisi economica, dalla quale i popoli arabi non sono usciti neppure dopo la caduta dei regimi corrotti dittatoriali e l’avvio di un processo democratico con l’insediamento di governi moderati (anche se di ispirazione islamica).

Chi sottolinea il livore permanente contro gli Stati Uniti, percepiti come il principale alleato di Israele e il promotore di guerre “contro l’Islam” in Iraq e, soprattutto, Afghanistan.

Chi ricorda che gli estremisti islamici sono in realtà minoritari, perdenti, rispetto all’ala moderata che ha conquistato il potere (ma sono poi così moderati i fratelli musulmani del neo-presidente egiziano Mohamed Morsi?). Altri, come la statunitense di origini egiziane Mona Eltahawy sul britannico Guardian , attribuiscono il risentimento arabo verso gli Stati Uniti anche al fatto che il regime di Mubarak e gli altri dittatori arabi affondati dalla “primavera” erano stati fino all’ultimo sostenuti e foraggiati dall’Occidente.

E, ancora, conoscitori dell’area come Alberto Negri su Il Sole24Ore osservano come in questi paesi non esista una cultura laica di separazione tra la politica e la religione, e questa è la grande differenza che impedisce all’Occidente di perseguire gli autori del film su Maometto e alle popolazione arabe di distinguere tra scelte individuali (più o meno criticabili ma libere) di un produttore di film e politiche dei governi. Al sodo: nell’Islam non esiste l’individuo.

Che le proteste proseguano o si assopiscano, è evidente che la politica del dialogo dopo quella della repressione da parte degli Stati Uniti non bastano comunque a risolvere il problema. E nonostante tutte le polemiche e i sarcasmi che si è procurato Samuel P. Huntington col suo fondamentale “Lo scontro di civiltà (e il nuovo ordine mondiale)”, la sua chiave di lettura continua a esercitare un comprensibile fascino.

“Il vero problema dell’Occidente”, scrive lo storico di Harvard, “non è il fondamentalismo islamico, ma l’Islam in quanto tale, una civiltà diversa le cui popolazioni sono convinte della superiorità della propria cultura e ossessionate dallo scarso potere di cui dispongono. Il problema dell’Islam non è la Cia o il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ma l’Occidente, una civiltà diversa le cui popolazioni sono convinte del carattere universale della propria cultura e credono che il maggiore - seppur decrescente - potere detenuto imponga loro l’obbligo di diffondere quella cultura in tutto il mondo. Sono questi gli elementi di base che alimentano la conflittualità tra Islam e Occidente”.

Che il tentativo di diffondere la nostra cultura democratica punti ad abbattere i dittatori o a sostenerli, non cambia la sostanza. È la classica situazione nella quale “come ti muovi, sbagli”.
Perché il problema è più profondo. Più radicale. E attraversa i secoli.  
 

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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