Indulto. I numeri dicono no
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Indulto. I numeri dicono no

La riforma delle carceri va fatta ma su basi solide. Ecco cosa dicono le cifre del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria)

Il Colle chiede responsabilità al Parlamento sull'indulto. Dovrebbe invece chiedere responsabilità verso i cittadini e verso le vittime dei reati e pretendere, come chiede la Corte Europea con al Sentenza Torregiani, una riforma strutturale del sistema carcerario, penale e penitenziario che non contempli, come si legge nella sentenza pilota, provvedimenti come indulto e amnistia. 

La riforma è necessaria ma va fatta su basi solide. Non si può fare una riforma basandosi su dati scorretti, incompleti e faziosi.

La comparazione tra i recidivi che hanno usufruito del beneficio dell'indulto 2006 e quelli che non ne hanno usufruito decantata da più parti per mostrare che l’indulto è una “misura educativa”, è di fatto impossibile. Il risultato che ne emerge è scorretto e viene utilizzato in modo distorto.

Dopo l’indulto, secondo i dati forniti dal Ministro Cancellieri a ottobre del 2013, il numero dei detenuti è cresciuto, rispetto a prima, in media di 7000 soggetti in più ogni anno. Il ritmo di crescita dei detenuti è stato alto per i primi quattro anni successivi, fino a giungere, nel 2009, a un picco di oltre 69.000 presenze in carcere, 30.000 in più di quelli presenti dopo l’applicazione dell’indulto.

Per quanto riguarda la recidiva di chi non ha usufruito dell’indulto viene utilizzato il dato emerso dalla rilevazione effettuata dall’Ufficio Statistico del DAP, citata dallo studio di Fabrizio Leonardi (2007), che ha mostrato come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998 abbia, nei successivi 7 anni, ha fatto reingresso in carcere una o più volte. Il periodo di riferimento (1998-2005) è però superiore di due anni rispetto al dato rilevato per la recidiva di indultati, che invece si ferma a 4 anni (2007-2011). E due anni in più possono incidere notevolmente sulla percentuale.

Ma la cosa più rilevante ai fini della scorrettezza del dato rispetto a ciò che dovrebbe rappresentare, è nel fatto che non tiene conto di coloro che hanno reiterato dopo avere usufruito dell’indultino del 2003. 

Per quanto riguarda invece il dato utilizzato per la comparazione riguardante i recidivi indultati nel 2006, se si usa l’ultimo disponibile che si ferma a dicembre 2011, pari al 33,92%, si mostra un dato parziale in quanto non tiene conto di coloro che hanno usufruito del beneficio e che si trovavano alle misure alternative. Ma anche unendo recidivi che erano in carcere + recidivi che erano alle misure alternative, la percentuale che ne risulta resta parziale.

Il numero riguardante gli indultati che erano alle misure alternative è infatti stato rilevato su un campione di ex-detenuti pari a 7.615 su un totale di 17.387 individui, a differenza del dato di recidiva di indultati che erano in carcere che riguarda la totalità. Inoltre, la rilevazione sul campione è terminata nell’ottobre del 2008 ovvero tre anni prima di quella sui recidivi che erano usciti dal carcere. 

Aggiungiamo una riflessione: prima dell’indulto le persone che erano alle misure alternative non creavano certo il problema del sovraffollamento, ci chiediamo dunque per quale motivo fossero state liberate anzitempo, anche in virtù del fatto che la messa in prova è ritenuta, dai detrattori delle misure detentive in carcere, altamente rieducativa. Perché interrompere prima del tempo un trattamento ritenuto efficace? Su certe personalità fragili l’idea che alla fine non si paga mai del tutto per i reati commessi può essere considerata davvero rieducativa? Noi crediamo di no. Inoltre al danno si aggiunge la beffa.

Chi era alle misure alternative (e non occupava posti in carcere), ed è rientrato per avere commesso nuovi reati con una pena ovviamente superiore a quella che stava scontando prima dell’indulto, non andrà certo nuovamente alle misure alternative ma diritto in cella, contribuendo ad alimentare quel sovraffollamento che si afferma di voler eliminare. Possiamo chiamarla follia di Stato? Viene da pensare che non ci sia la volontà politica di risolvere questo problema definitivamente, perché altrimenti sarebbe impossibile fare passare in futuro altri provvedimenti di clemenza, che sono sempre stati un mezzo da utilizzare per compromessi e accordi politici di cui non ci è dato sapere.

Detto ciò, a noi interessa sottolineare che, sia il 10%, il 40% o il 70%, nella percentuale che si propina come un successo in termini di recidiva non ci sono solo i detenuti, ma ci sono anche i cittadini certamente innocenti che i reati li hanno subiti a causa di un provvedimento scellerato dello Stato. Ci sono le Vittime, che non possono essere considerate un peso, un effetto collaterale secondario, e che anzi fanno parte a pieno titolo dei costi sociali e umani di tali provvedimenti. Costi a volte così elevati da non poter essere nemmeno quantificati, specie quando si tratta di vite spezzate.

I reati i cui autori possono beneficiare dei provvedimenti di clemenza sono proprio quelli di maggiore allarme sociale, quelli che toccano le persone nella loro quotidianità come le rapine, i borseggiamenti, i furti. Reati che, come si dimostra l’elenco che segue, non escludono, anche grazie al senso d’impunità provocato dal provvedimento, che si vada oltre fino a uccidere:

Salvatore Buglione, rapinato da due delinquenti, uno dei quali indultato, mentre chiudeva l’edicola della moglie. E’ morto con una coltellata nel cuore.

Antonio Pizza, ventotto anni, sposato e padre di un bimbo di pochi mesi, è morto dopo una lunga agonia durante una rapina commessa da un criminale slavo, uscito pochi giorni prima grazie all’indulto.

Aniello Scognamiglio, 16 anni, investito e ucciso a Torre del Greco da ubriaco e drogato al volante. L’omicida, libero grazie all’indulto, in carcere ci era entrato per spaccio di stupefacenti, violenza, resistenza a pubblico ufficiale e reati vari contro il patrimonio

Paolo Cordova, farmacista, ucciso durante una tentata rapina da chi prima dell’indulto era dentro perché ne aveva commesse altre sei.

Luigia Polloni, morta strangolata per mano di un tossicodipendente indultato durante una rapina. Ne aveva alle spalle ben 25.

Antonio Allegra, morto sparato da Pietro Arena, fuori grazie all’indulto nonostante un tentato omicidio.

Barbara Dodi, 46 anni con due figlie a carico, strangolata in camera da letto con una cinta dal marito, già condannato per tentata rapina e libero grazie all'indulto.

Guido Pelliciardi e Lucia Comin, torturati, seviziati e poi uccisi in provincia di Treviso da un rumeno e da due albanesi irregolari che avevano già commesso rapine e violenza sessuale, fuori grazie all’indulto (ma la violenza sessuale non era reato escluso dal provvedimento?).

Antonella Mariani, 77 anni, aggredita e scippata cade a terra e sbatte la testa. L’assassino (eroinomane) aveva da pochi mesi beneficiato dell'indulto (siamo nel 2008), era in carcere per rapine e sequestro di persona

Florinda De Martino, mamma di 35 anni, uccisa a colpi d’ascia il 23 luglio del 2009 in un villino del quartiere Camaldoli a Napoli. Il fidanzato assassino nel 2002 aveva tentato di uccidere la ex moglie. Tentativo fallito solo perché la lama del coltello si spezzò nell’addome della donna. Condannato a sei anni con sconto per indulto (nonostante recidivo) è arrivato a tre, da cui vanno decurtati 9 mesi di sconti automatici.

Una sorte di condanna a morte autorizzata dallo Stato, quella ricevuta da questi e da altre decine di cittadini innocenti “morti d’indulto”, che hanno ricevuto un trattamento disumano di cui nessun umanitario si preoccupa. Queste persone sono solo una minuscola parte di quelle che sono morte ammazzate da chi era fuori grazie all’indulto del 2006, e non abbiamo dati relativi a quello parziale del 2003, ma ne basterebbero due per rendere lo Stato, e tutti coloro che hanno votato quel provvedimento, mandanti di pluriomicidio.

L’elenco appena mostrato afferma con forza e chiarezza che l’impunità è altamente diseducativa (contraria dunque all’art.27 della Costituzione tirato in ballo spesso a proprio comodo e del quale si dimentica il principio di responsabilità penale). Queste persone oggi potrebbero essere ancora vive se quell’indulto non ci fosse mai stato.

Invece sono morte e per niente, perché già dopo due anni la capienza regolare era superata e perché alla fine questi provvedimenti hanno un solo “pregio”, permettere ai politici di rilassarsi sugli allori, mentre la gente, fuori e dentro le carceri, muore. Si parli di legalità all’interno delle carceri, di diritto alla dignità, siamo d’accordo, ma senza mai dimenticare che l’unica libertà che deve essere tutelata sopra ogni altra è quella che rispetta i confini delle libertà altrui.

Se vogliamo davvero risolvere il problema del sovraffollamento, del sistema rieducativo, della sicurezza dei cittadini, dobbiamo lavorare su dati corretti. Una comparazione che si possa dire credibile e realistica deve essere effettuata su dati rilevati con lo stesso metodo statistico e nello stesso arco temporale. 

@bbenedettelli

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Barbara Benedettelli