Indulto? Amnistia? Io dico No
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Indulto? Amnistia? Io dico No

L'invito del presidente della Repubblica divide la politica e l'opinione pubblica. Queste le motivazioni di chi è contrario - I numeri - La multa della Ue - Le proposte di legge - Amnistia salva-Berlusconi? Una bufala -

So benissimo che la mia protesta, che è poi la protesta di milioni di cittadini e di milioni di Vittime dei reati, non riuscirà a fermare la scelta di un Parlamento che sa rimandare tutto ciò che può fare bene ai cittadini, e che invece agisce in fretta per tutelare le minoranze. Però questo non toglie che possa esporre senza essere tacciata di giustizialismo o populismo, le ragioni di quello che reputo un fallimento dello Stato, un’ingiustizia con la I maiuscola. Né accusata perché affermo di vedere, proprio nello Stato, il mandante delle violenze che seguiranno, certamente, un indulto e un’amnistia.

E in quel certamente ci sta una realtà di cui si sa poco, e il retro-pensiero insopportabile di chi questi provvedimenti li ha votati in passato e li voterà ancora, secondo il quale le violenze che ne deriveranno sono solo un effetto collaterale necessario. Ma in quell’effetto collaterale ci sono delle vite umane. Delle persone. Cittadini innocenti che subiranno violenza. E non lo dico per fare dell’allarmismo gratuito.

E’ accertato che dopo ogni provvedimento d’impunità aumentano i reati di maggiore allarme sociale come rapine, violenze sessuali e omicidi volontari. Ed è un dato oggettivo che, per esempio, dopo l’indulto del 2006, che per altro non ha risolto un problema del Paese, molte persone sono morte ammazzate. Ecco solo alcuni nomi: 

- Salvatore Buglione, rapinato da due delinquenti, uno dei quali indultato, mentre chiudeva l’edicola della moglie. E’ morto con una coltellata nel cuore.

- Antonio Pizza, ventotto anni, sposato e padre di un bimbo di pochi mesi, è morto dopo una lunga agonia durante una rapina commessa da un criminale slavo, uscito pochi giorni prima grazie all’indulto.

- Paolo Cordova, farmacista, ucciso durante una tentata rapina da chi era dentro perché ne aveva commesse sei. Eppure libero grazie all’indulto.

- Luigia Polloni, morta strangolata per mano di un tossicodipendente indultato, durante una rapina. Ne aveva alle spalle 25.

- Antonio Allegra, morto sparato da Pietro Arena, fuori grazie all’ indulto nonostante un tentato omicidio.

- Barbara Dodi, 46 anni con due figlie a carico, strangolata in camera da letto con una cinta dal marito, già condannato per tentata rapina e libero grazie all'indulto.

- Guido Pelliciardi e Lucia Comin, torturati, seviziati e poi uccisi in provincia di Treviso da un rumeno e da due albanesi irregolari che avevano già commesso rapine e violenza sessuale. Fuori grazie all’indulto. 

Chi ha ucciso queste persone? Chi ha armato quelle mani? Lo Stato, con il suo cinismo, la sua incapacità di tutelare per davvero i suoi cittadini, un sistema giudiziario e penale inadeguato, una classe politica che non ha ancora imparato che l’unico diritto acquisito che conta davvero è quello alla vita, e alla possibilità di viverla in serenità e salute, liberi dalla paura e con la certezza che mai si giocherà con loro a “roulette russa”.

Si parla a ragione della dignità dei detenuti, ma mai si pensa alla dignità delle Vittime (con la V maiuscola perché sono quelle vere), al loro diritto di ottenere ristoro, giustizia, riparo per quanto è stato loro tolto. Che cosa significa amnistia per le Vittime il Presidente di tutti i cittadini deve chiederselo.

Nelle carceri io ci sono stata, Lei Presidente è mai andato al cimitero con la mamma di un ragazzino che è stato ucciso a soli 15 anni dall’irresponsabilità e superficialità di chi poi chiede clemenza? Anzi, di chi non ha scontato e forse non sconterà mai nessuna pena in questo caso, visto che è morto  causa di un reato non inteso come tale, l’omicidio stradale. E ai diritti delle Vittime, di tutte le Vittime senza distinzioni o categorie, si è mai pensato concretamente? Lei lo sa che nell’ordinamento penitenziario c’è un articolo, il numero 45 della legge 26 luglio 1975 numero 354, in cui si afferma che “ il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un’azione di assistenza alle loro famiglie”? Bene. E’ giusto. Ma perché tale attenzione non c’è verso la famiglia, per esempio, di chi si è visto ammazzare chi amava?

Non è una giustizia giusta a 360 gradi che dobbiamo cercare tutti quanti? Una giustizia capace di trovare una mediazione tra i diritti di tutti gli attori in causa, ma che abbia gli occhi bene aperti su cosa va a difendere?

Voi parlate di amnistia senza considerare che per una persona che ha subito un reato è inaccettabile che venga estinto. Come dire: "guarda che hai solo sognato, non è mai successo. Allegria." Solo che a volte anche un semplice furto in appartamento o una rapina a un anziano è un trauma che rimane eccome. Vogliamo parlare di chi ha subito reati contro la persona?  Dei bambini abusati, delle donne violentate, dei cittadini uccisi da chi è uscito prematuramente dal carcere senza essere rieducato oltre ogni ragionevole dubbio, che non potesse più nuocere?

E non si dica che si fa l’amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento, perché viene applicata anche a chi si trova alle misure alternative. Viene fatta per snellire un sistema giudiziario e penale ingolfato, per incapacità di Stato. Questa è la verità. Dite questo. Incapacità di Stato. Di certo si tratta di un provvedimento che nega per legge il diritto alla giustizia.

Nell’elenco sopra esposto non ci sono solo nomi, ci sono mondi interi, pieni di gente per cui quel reato sarà per sempre, e devono ringraziare quello Stato che avrebbe dovuto proteggerli. Di quell’elenco va notata una cosa, nella maggior parte dei casi chi ha ucciso non lo aveva mai fatto prima, ma delinquere era un sistema di vita. E entrare e uscire dal carcere uno sport.

Con Fratelli d’Italia, di cui sono responsabile nazionale dell’Area Tutela Vittime della Violenza, abbiamo depositato una proposta di legge a prima firma Edmondo Cirielli, che prevede sia lo Stato a risarcire le Vittime causate dalla sua inefficienza, dal fallimento del sistema penale. E’ lo Stato a dover pagare quando una persona libera, onesta, innocente, subisce un reato gravissimo da chi è fuori per un permesso premio, una libertà prematura, un indulto o un’amnistia. E' il legislatore, ma anche, in certi casi, il magistrato. Basta con questo buonismo al contrario che non fa bene a nessuno, né alle Vittime, né ai cittadini perbene, né al reo.

I provvedimenti d’impunità bruciano, in una società in cui l’economia domina sulla morale, il principio di legalità, l’ideale di giustizia, la base stessa della civiltà, del vivere insieme. Noi dobbiamo cambiare. Dobbiamo ristabilire un principio giuridico che risponde alla cultura della vita e della sola libertà che conta davvero, quella di esistere nel rispetto dell’Altro.

Bisogna tornare a parlare di certezza della pena, una garanzia di democrazia per i cittadini che altrimenti cadono nell’incertezza. Una garanzia di libertà. E’ profondamente ingiusto pensare che alcuni di noi dovranno subire le peggiori violenze a causa del fallimento di uno Stato che permette anche una sola morte causata da una mano da lui stesso armata con un pugnale, un piccone, due mani, una macchina, una corda, una pistola. O da un provvedimento cieco e sordo ai diritti di chi agli Altri non li ha mai negati. E' profondamente avvilente pensare che chi ha subito un reato non otterrà mai giustizia. Ecco cosa significano le parole indulto e amnistia per quel popolo al quale non si dà mai ascolto e che invece per provvedimenti di questo tipo dovrebbe poter decidere. Dovrebbe poter votare. Le soluzioni per risolvere definitivamente il problema carceri ci sono, e da qui a maggio, quando scade il tempo che ci ha dato l’UE si possono attuare. Perché non lo fate? La verità, dite la verità.

CARCERI FATISCENTI E SOVRAFFOLLAMENTO

Per quanto riguarda lo stato delle carceri non tutte sono fatiscenti come dicono, quelle che lo sono vanno ristrutturate senza se, senza ma e velocemente, perché le persone, anche in stato di detenzione, devono vivere con dignità. Ma non occorre fare un indulto, che non serve, come ha dimostrato quello del 2006 dove chi lo ha proposto e votato diceva: “Mai più carceri sovraffollate e simili a topaie!”, “Riforma immediata del sistema giustizia!” ecc. In un anno da 38.847 detenuti del dopo indulto si è passati a 46.118, contro una capienza che allora era di 44.066 (dati DAP). Dunque? Perché invece non ridistribuire la popolazione carceraria? In Italia abbiamo decine di carceri finite e inutilizzate  (costate ai contribuenti giusto “2” euro!), alcune semivuote, altre con intere aree libere. Abbiamo le caserme inutilizzate che si possono adibire a carcere senza spendere soldi per costruirle. Perché no? 

CUSTODIA CAUTELARE E ATTESA DI GIUDIZIO

La custodia cautelare va regolata diversamente. Inutile dire, come richiesto recentemente anche dalla UE, che è importante la responsabilità civile per i Magistrati. Forse qualche custodia cautelare in meno ci sarebbe. In virtù della extrema ratio di cui tanto si parla per il carcere, credo che la custodia cautelare in prigione debba essere un provvedimento da adottare solo verso chi è sospettato con gravi indizi per reati contro la persona o legati alla criminalità organizzata e allo spaccio di droga.  Per quanto riguarda i reati finanziari; quelli dei cosiddetti colletti bianchi; quelli contro l’amministrazione pubblica, si potrebbero prevedere i domiciliari controllati da videosorveglianza, per esempio.

Per quanto riguarda l’attesa di giudizio, vorrei fare un distinguo: anche qui si fa di tutta l’erba un fascio. Tipico di questa Italia che non riesce a crescere neanche culturalmente. Quando si dice che circa il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio, non si dice anche che solo la metà sono in attesa del primo grado e che di questa metà molti sono dentro perché a loro carico ci sono gravissimi indizi, evidenza della prova o flagranza per reati di una certa gravità. E non si considera che il restante 20% è già stato condannato in primo e secondo grado. E dal momento che la Cassazione valuta il vizio di forma, difficilmente si arriva all’assoluzione. E qui vorrei esporre l’unico punto che mi vede d’accordo con il Presidente Napolitano. Di questo 40% circa 10.000 persone sono straniere, altri stranieri sono condannati in via definitiva e sono circa 13.000. Di questi solo una parte esigua sono dentro per il solo reato di clandestinità, gli altri sono dentro per spaccio, furti, rapine, violenza sessuale e omicidio. Vadano a scontare la pena nel paese d’origine, si riprendano gli accordi bilaterali in questo senso, avviati nel 2010 da Alfano. 

SUICIDI IN CARCERE E TOSSICODIPENDENTI

Quella dei suicidi è una triste realtà, che purtroppo coinvolge anche chi nel carcere ci lavora, ma alla quale c’è un rimedio nell’attuazione dei protocolli internazionali (world health organizationi) che, dove vengono applicati, permettono di ridurre in modo notevole queste tragedie. Il carcere di Lucca ne è un esempio . Si tratta di un progetto terapeutico-riabilitativo individualizzato e sottoposto a continue verifiche, che si fa soprattutto nelle fasi in cui è riscontrato che avviene il maggior numero di suicidi: quando comincia la detenzione e subito prima o dopo il processo.

Ma qui vorrei fare una domanda, non provocatoria ma conoscitiva, vorrei sapere quanti dei detenuti che si suicidano fanno uso di droghe, anche durante la detenzione, dal momento che nelle carceri la droga circola eccome. Questo non è un problema a cui porre rimedio? Di certo per aiutare davvero i tossicodipendenti la pena dovrebbe essere scontata nelle comunità di recupero, non in carcere, e parliamo di circa 16.000 persone. E chissà, forse ci sarebbe anche qualche suicidio in meno. Ammesso che parte dei suicidi siano di tossicodipendenti. 

RIEDUCAZIONE E REINSERIMENTO

Il sistema rieducativo non funziona. Non ci vuole un genio per capirlo. Se funzionasse le carceri sarebbero meno piene e il mondo sarebbe migliore. Perché allora perseveriamo in un modello rieducativo valido solo sulla carta? Un sistema che si basa sulla premialità non aiuta il reo a riconoscere le sue colpe e il disvalore sociale di ciò che ha fatto, oltre a fare arrabbiare le Vittime. E se non riconosci la tua colpa non poi definirti rieducato nel senso che questo termine ha quando si parla di reato/pena/Vittime.

La rieducazione apparente, cioè la buona condotta in carcere come mezzo per ottenere benefici non è opinione. La buona condotta può essere simulata, specie laddove ci troviamo di fronte a persone che intendono il carcere come un rischio del mestiere che grazie a premi e cotillon durerà poco. E noi invece di cambiare rotta continuiamo a premiare sempre di più, senza però chiedere in cambio nulla che possa definirsi un sacrificio. Eppure quanti ne fanno i cittadini onesti ogni giorno? Perché i detenuti no? Sono cittadini di serie B?

Non sto a elencare tutte le possibili soluzioni, mi limito a due possibilità tra le altre, che reputo particolarmente importanti per un nuovo modello rieducativo. Uno riguarda programmi, scissi dalla premialità, che sono in grado di stimolare negli autori di reati il senso di responsabilità verso le Vittime e verso la società nel suo insieme, compito che può ben svolgere il progetto Sicomoro che s’ispira, nel suo approccio metodologico, ai principi della Giustizia Riparativa (Restorative Justice), ovvero a un insieme di pratiche che “valorizzano” la Vittima, ponendola al centro della risposta del reato e, allo stesso tempo, tendono alla responsabilizzazione dell’autore verso le conseguenze del suo comportamento. Altro che Amnistia e Messa alla Prova che in breve tempo estingue anche i reati peggiori.

L’altro riguarda il lavoro, che secondo l’ordinamento penitenziario è obbligatorio. Ma non è vero. Lo è solo sulla carta, perché il detenuto può rifiutarsi. Al solito, c’è sempre un modo per aggirare gli obblighi. Il lavoro in ambito penitenziario è una “chance di riabilitazione e risocializzazione al detenuto che volesse profittarne”. Ma se partecipa avrà un bello sconto automatico, tre mesi ogni anno. Peccato che quando uscirà, ammesso che trovi lavoro, nessuno gli darà tre mesi in più di stipendio se lavora bene. E questo scollamento tra realtà penitenziaria e realtà sociale non può essere pensata come educativa. Per ovviare bisognerebbe eliminare lo sconto automatico in modo che il lavoro sia considerato la normalità e renderlo obbligatorio sul serio, per tutti. 
Il sistema carcerario attuale è un’utopia che costa soldi, ma soprattutto vite umane, quelle delle troppe Vittime di un sistema malato. Come utopia è quello che adesso volete farci passare come un salto di civiltà irrinunciabile. Sì, nel buio di un pozzo nero.

So che farete sia l’indulto che l’amnistia, è ovvio. Mentendo anche a voi stessi. E’ chiaro. Allora vi chiedo di escludere dai reati che ne beneficeranno tutti quelli contro la persona. Tutti. Perché le cose non accadono solo agli altri. Gli Altri, siamo tutti noi, voi compresi.

A novembre ci sarà una manifestazione contro indulto e amnistia a Roma alla quale invito cittadini, Vittime, Associazioni, chiunque volesse dire NON CI STO!

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Barbara Benedettelli