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Il ruolo di Obama tra Iran e Arabia Saudita

Mano tesa verso il Medio Oriente, il presidente Usa non farà una scelta di campo. Il suo obiettivo resta il "contenimento"

Può il presidente degli Stati Uniti d’America governare il proprio Paese e partecipare al “governo” del mondo senza (voler) essere un leader? Questa è l’improbabile domanda alla quale devono oggi rispondere gli americani, ma anche gli europei.

Un amico americano, elettore democratico ma di famiglia repubblicana, mi ha spiegato dal suo punto di vista che George W. Bush è stato un presidente di scarsa capacità d’analisi eppure dotato di leadership decisionista. Al contrario, Barack Obama sarebbe un presidente “intelligente”, acuto, eppure incapace di prendere decisioni.

Se le cose stanno così, è inevitabile avere (foss’anche per paradosso) nostalgia di Bush: impensabile che a un presidente (degli Stati Uniti) manchi il piglio decisionista. Come un tennista che non sapesse imprimere l’effetto alla pallina. Un leader mondiale che si comporti da semplice coordinatore dei propri consiglieri, non da uomo investito dal suo popolo della terribile responsabilità di scegliere l’astensione o la guerra, è “unfit” a governare. Inadatto.

Qualcuno ritiene che Obama sia un grande statista: il vero leader sarebbe, come lui, quello abbastanza coraggioso da decidere anche di non decidere (di mandare i soldati americani ad affondare gli stivali nel fango mediorientale, per esempio). Decidere di non decidere: un bel coraggio. Ne consegue una catena di comportamenti. Guidare le coalizioni dalle retrovie. Esercitare il soft power, o potere morbido. O potere discreto.

L’America di Obama non si sporca le mani, lascia che siano gli altri a sporcarsele. La strategia del Presidente è quella di mandare avanti una alleanza arabo-musulmana che metta al suo posto l’Isis. Il suo obiettivo non è la vittoria, ma il “contenimento”.

Con qualche ambizione, però. L’accordo sul nucleare iraniano ricorda vagamente il patto storico che strinse Reagan con la Russia, con la differenza, sottolineata dal Wall Street Journal, che fu la Russia a dover scendere a patti con Reagan dopo che Reagan aveva portato gli Stati Uniti alla supremazia assoluta in campo militare.

Nel caso di Obama, invece, fin dal suo primo discorso da neo-presidente degli Stati Uniti in Egitto, Barack ha scelto la politica della mano tesa verso il Medio Oriente. E ha fatto concessioni su concessioni all’Iran al punto che, sempre stando al Wall Street Journal, persino i “duri” che comandano a Teheran non avrebbero potuto far altro che accettare di negoziare: avevano troppo da guadagnarci.

Da quando l’intesa è stata firmata, però, gli iraniani hanno portato a termine ben due test sui missili balistici, e la guida suprema Ali Khamenei non ha perso occasione per accusare gli americani di voler interferire persino nella politica interna (influenzando le prossime elezioni politiche di febbraio). In più, la ripresa del dialogo con l’Iran ha portato a una quasi rottura degli Stati Uniti con l’alleato storico, Israele.

E ancora: Obama ha lasciato libero spazio a Putin e alla Russia in Medio Oriente. Putin è uno che prende le decisioni, che sceglie. Tra Arabia Saudita e Iran ha scelto l’Iran. Ma poi ha avuto la forza di proporsi come mediatore tra Teheran e Riad, in rotta per l’esecuzione da parte saudita dell’Imam sciita Nimr al-Nimr, perché il leader russo è abbastanza spregiudicato da giocare sulla tastiera dell’interesse economico e con Riad il tema di fondo è il mercato del greggio.

Tutto questo per arrivare a una considerazione. La domanda che tutti oggi si pongono è che cosa dovrebbe fare e farà Obama di fronte allo scontro tra il vecchio alleato, il Reame saudita, e il nuovo, l’Iran che ha accettato il compromesso sul nucleare e combatte senza se e senza ma l’Isis. Ebbene, Obama non tradirà la propria linea (in)decisionista. Lascerà che siano i contendenti a distribuirsi “bastonate”, secondo una teoria del disimpegno finalizzata fino a ieri alla creazione di una coalizione di arabi e non arabi, musulmani e no, sciiti e sunniti, mediorientali e europei, contro il Califfo.

Quanto agli Stati Uniti, continueranno a bombardare ma non troppo, a sferrare isolate incursioni di unità speciali sul terreno ma non troppo, e possibilmente di nascosto. E quanto alla querelle tra Iran e Arabia Saudita, un leader è chiamato a prendere decisioni, non può farne a meno, mentre un coordinatore dei propri consiglieri può lasciare che i fatti prendano il sopravvento ed eviterà di compromettersi con qualsiasi cosa possa anche lontanamente assomigliare a una scelta di campo. Che cosa farà Obama? Nulla, direbbe il mio amico americano.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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