Heliski: fuori di pista...o fuori di testa?
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Heliski: fuori di pista...o fuori di testa?

La morte di un'esperta guida alpina sotto una valanga, riapre il dibattito sui fuoripista: vale la pena rischiare di morire per un po' di emozioni?

Per uno sciatore non c’è nulla di più attraente di un pendio bianco immacolato: il piacere di «tracciare» per primo in neve fresca è impagabile. Ma, lontano dalle piste, aumenta il rischio valanghe. E la neve non fa distinzione fra esperti e  neofiti.

Come è successo il 6 febbraio a Simona Hosquet: 30 anni, sottufficiale degli alpini, espertissima guida d’alta montagna, è morta a Valtournenche, in Val d’Aosta. I suoi due clienti, portati in quota con l’heliski si sono salvati con l’air bag che li ha tenuti a galla sulla valanga. Lei non è riuscita a tirare la maniglia per gonfiarlo: l’hanno trovata sotto un metro di neve, già cianotica.

Ecco: è giusto rischiare la morte per un po’ di emozioni? Il business vale la candela? Il dibattito si riapre a ogni tragedia: per i detrattori è solo incoscienza, chi va a caccia di adrenalina lo mette in conto. Difficile da spiegare razionalmente.

La morte di Simona è stata «sfortuna pura» secondo lo scalatore valtellinese Marco Confortola, che dal 12 al 16 marzo sarà alla Polartec-Scufoneda, il festival del freeride a Moena (Trento), per illustrare le tecniche di soccorso in montagna. «La neve che l’ha uccisa» ricorda «ha travolto alcuni tecnici dell’ufficio valanghe: se fosse stata una zona a rischio non sarebbero stati lì».

Il «freeride», lo sci fuori pista, grazie all’heliski e a materiali come gli sci larghi che ti fanno galleggiare in  neve fresca, oggi è alla portata di molti. «Trent’anni fa atterravano con il Piper in cima al Monte Rutor, a La Thuille, e scendevano fuori pista» racconta il capo delle guide valdostane Guido Azzalea: «Allora era un lusso per pochi, oggi che puoi raggiungere facilmente pendii meravigliosi, il numero dei freerider è esploso».

La Val d’Aosta, dove l’heliski costa in media 250 euro a testa per ogni volo, compresa la guida, è l’unica regione italiana che lo ha regolamentato per legge, dal 1988, fissando criteri che valgono in tutto l’arco alpino: si può fare solo con una guida ogni quattro sciatori, lungo percorsi individuati e, se il bollettino delle valanghe segna un rischio 4 (sul massimo di 5) non si vola. Il giorno dell’incidente di Simona il rischio valanghe era 3. «Sulle Alpi d’inverno è così venti giorni al mese» spiega Azzalea: «Se vuoi sciare in neve fresca è inevitabile, ma le guide sanno affrontare queste condizioni». Eppure a volte una guida resta sotto le valanghe. La risposta è univoca, dalla Val d’Aosta a Cortina: «Chi viaggia in autostrada tutti i giorni rischia più di chi ci va ogni tanto: le guide sono esposte più di altri al rischio».

Contro l’heliski si battono gli ambientalisti, «che in Francia, Germania e quasi tutta l’Austria sono riusciti a farlo vietare» spiega Francesco Pastorella, direttore per l’Italia del Cipra (Commissione internazionale protezione Alpi)  «per il disturbo alla fauna selvatica, ma anche per la sicurezza». Secondo Pastorella infatti «chi sale con le pelli di foca sotto gli sci o le ciaspole, può valutare meglio le condizioni delle neve e i rischi del pendio lungo il quale poi scenderà».  Tesi contestata da Eric Carquillat, manager della base di Sestriere, in Piemonte, della società francese Pure Ski, che offre emozioni in elicottero dal Canada alla Turchia. «Chi sale con le pelli è esposto al pericolo delle valanghe per molto più tempo» dice: «Noi su una stagione di 110 giorni per quaranta non voliamo per problemi di vento, visibilità o rischio valanghe». L’elicottero può essere noleggiato per tutto il giorno per 7 mila euro da quattro persone, accompagnate da una guida. Ma per un paio di «rotazioni», così si chiama il volo, bastano 350 euro a testa.

In Italia l’heliski è vietato solo nelle Province autonome di Trento e Bolzano. «Abbiamo molti impianti, chi vuole fare freeride può salire in quota senza elicottero» dice il responsabile dell’elisoccorso di Bolzano Oscar Zorzi: «Tanti vogliono andare fuori pista, per una guida può essere difficile dire “non andiamo”. Ma la polizia è severa: ha denunciato un aspirante guida perché aveva causato una valanga sulla pista». E già, le valanghe cadono anche in pista qualche volta: il 12 febbraio sulla Forcella Rossa a Cortina è andata bene, ma il 17 febbraio del 1991 furono 12 i morti tirati fuori dalla valanga sul Pavillon a Courmayeur. Si tratta di episodi rari, mentre sempre più spesso ci sono incidenti fuori pista. Il freerider, oltre all’air bag, ha la pala per scavare e il sondino per cercare nella neve, mentre sul petto porta l’Arva, un apparecchio radio che trasmette un segnale costante. Se uno resta sotto la neve, gli altri mettono i loro Arva in ricezione e lo rintracciano.

«Valutare il rischio è fondamentale» spiega Nicola Corradi, dell’Heliski di Cervinia: «Facciamo sempre un briefing e se serve un volo di controllo: prima si andava fuori pista a primavera, oggi si va sempre. E il cento per cento di sicurezza sulla neve non esiste».

«Bisogna andare con giudizio, conoscere il territorio e la neve» gli fa eco da Cortina Luca Dapoz, capo delle guide e coordinatore dell’heliski, che qui costa 270 euro a testa per due rotazioni. Qualcuno sospetta che, pur di guadagnare, le guide accettino di portare la gente fuori pista anche in condizioni di pericolo. «Questa è una bestialità» tuona il valtellinese Maurizio Folini, guida, maestro di sci e pilota di elicotteri: «Siamo professionisti che tutte le sere vogliono tornare a casa: il nostro mestiere sta proprio nel limitare i rischi».

Sul versante piemontese del Monte Rosa, ad Alagna Valsesia, invasa ogni anno da stranieri attratti dal «Freeride Paradise», l’heliski decolla solo dieci volte al giorno. «Così veniamo incontro agli ambientalisti, che vogliono tutelare il parco naturale» spiega il capo delle guide Andrea Enzio. Il volo costa 240 euro a testa, la guida poi scierà tutto il giorno con il gruppo. «Con rischio valanghe 4 non si vola e l’assicurazione non copre la guida se va in fuoripista» spiega Enzio: «E’ una restrizione per il nostro lavoro, ma lo rende più sicuro. Dopo gli incidenti nei quali sono rimaste coinvolte delle guide, tutti si sono dati un giro di vite. Può capitare di trovare quello che vuole fare il furbo, ma ne vale la pena?».

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Damiano Iovino