La tragedia di Davide Bifolco e le esagerazioni
ANSA / CIRO FUSCO
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La tragedia di Davide Bifolco e le esagerazioni

L'assurda morte del ragazzo di Napoli per qualcuno è motivo per slogan senza senso

Davide Bifolco non era un eroe, forse non era neanche un “ragazzo d’oro” come lo dipingono la mamma e gli amici. Davide era un diciassettenne del Rione Traiano, uno dei più degradati di Napoli, ed è morto ammazzato per l’errore di un carabiniere ventiduenne (ma è così importante precisare l’età dei protagonisti di questa brutta storia? Che cosa cambia avere 17 o 22 anni non a Bolzano ma a Napoli?). Il carabiniere dice di avere sparato senza volere e io gli credo, fino a prova contraria. In tre su uno scooter (per la cronaca: senza casco, senza patentino e senza assicurazione) avevano forzato l’alt dei militari che avevano creduto di riconoscere in uno dei tre un latitante sfuggito agli arresti domiciliari. Partita all’inseguimento, la gazzella dei carabinieri ha tagliato la strada allo scooter. I tre sono caduti, continuando a scappare. Nella concitazione della cattura è partito il colpo. 

Un ragazzo che muore così è una tragedia. Ma blocchi stradali e presidi, insulti e minacce ai carabinieri sono il modo peggiore per ricordarlo. 

Diciamo la verità. Il paragone di Roberto Saviano su Repubblica (“Adesso anche l’Italia ha la sua Ferguson”) è falso, facile e fuorviante. Ferguson è il nome del sobborgo di St. Louis, Missouri, dove un poliziotto bianco ha ucciso Michael, ragazzo nero. Ma che cosa c’entra Ferguson e il razzismo con Napoli e l’uccisione di Davide? Scrive Saviano che a Napoli, “città in guerra”, non esistono più “né guardie, né ladri. Né bene né male”. Eh no, questo non lo accetto.

Esistono eccome guardie e ladri, così come esiste il bene e il male. Specie a Napoli. Specie nel rione Traiano, dove c’è un’evidente preponderanza del secondo. Flora, la mamma di Davide, auspica che il carabiniere che gli ha ucciso il figlio “marcisca in galera, non deve avere un momento di pace per tutta la vita”. E il fratello, Tommaso, più esplicito: “Quel carabiniere deve pagare. Lasciatelo a noi per dieci minuti”. Ecco, temo che l’odio e le minacce nascano da un retroterra che non è quello del dolore per la morte di un figlio e un fratello. È anche altro.    

La verità è che Davide Bifolco non è, non può essere, un modello. Il modo meno giusto di commemorarlo sarebbe quello di trasformarlo in paladino del rione contro la violenza dei carabinieri, perché proprio di quella cultura Davide è vittima: delle proprie radici, del proprio rione. Della città in cui lo Stato è assente se non per il presidio, che vorrei più capillare, delle forze dell’ordine. Trovo indecenti i resoconti di certi giornali che quasi avallano il linciaggio morale (non essendo riuscito quello fisico) del carabiniere che ha confessato di avere sparato per sbaglio. A Roma qualcuno ha scritto sui muri: “Sbirri assassini, pagherete anche Napoli”. A Napoli, altre scritte e ingiurie: “Carabinieri infami”. Io sospetto che il problema di Davide fosse un altro. “Mio figlio non andava a scuola e non aveva un lavoro”, dice la madre che accusa l’uccisore del figlio di non essersi fermato neppure di fronte alla faccia di un bambino, ora deve venire a uccidere anche me visto che ha avuto il coraggio di uccidere un bambino”.

Non so che faccia avesse il carabiniere che ha sparato, e che anche quella sera rischiava la pelle tanto quanto Davide. Non so che faccia avesse Davide (le foto non bastano e a quanto pare neppure i suoi insegnanti, purtroppo per lui, lo sapevano). Ma non considero “d’oro” una madre che tollera che il figlio non vada a scuola e si accompagni a gente che forza i blocchi della polizia a notte fonda, o un rione nel quale invece di fare presidi contro la camorra si fanno contro i carabinieri e quando uno del rione viene ucciso per errore da un carabiniere i testimoni sgomitano per farsi ascoltare mentre quando c’è un morto ammazzato dalla camorra nessuno sa, nessuno parla, nessuno si fa avanti (e nessuno dice: “Lasciateli a noi per dieci minuti”). 

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