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Ansa / Daniel Dal Zennaro
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Berlusconismo e renzismo, differenze che fanno la differenza

Le comunali hanno mostrato il fallimento del progetto renziano. Nel centrodestra invece gli elettori hanno rialzato la testa

Era una buona idea, in fondo, quella di Matteo Renzi. Migliore, certo, di quella di Bersani e D’Alema di perpetuare l’errore di governare tenendo sulla scrivania i manuali della sinistra ideologica.

Renzi avrebbe voluto trasformare il Partito democratico in un movimento nuovo e moderno, un partito nazionale al di là della sinistra e della destra, capace di raccogliere consenso a partire dal centro della politica italiana. Un movimento aperto ai giovani, deciso a rifondare il patto generazionale, a fare le riforme di cui l’Italia ha bisogno da sempre. Un partito capace di sfondare a destra e conquistare fette di elettorato berlusconiano. Ma il disegno non ha retto. Il castello di carte è crollato.


Perché è fallito il progetto renziano

Insomma il progetto è fallito. Anzitutto perché, come Berlusconi, Renzi aveva sbagliato a credere di poter intaccare impunemente poteri forti come la magistratura e la burocrazia. Era riuscito a rottamare le cariatidi del Pd, non a rivoluzionare un sistema, quello italiano, che poggia sulla burocrazia e sul partito dei giudici.

Renzi aveva provato anche a riformare la scuola. Certo, c’era un significativo divario tra ciò che aveva promesso e quanto aveva mantenuto. Ma la direzione non era sbagliata, e in alcuni momenti cruciali ha incassato l’apertura di credito dello stesso Berlusconi.

Renzismo e berlusconismo, le differenze

Poi ha commesso un errore di presunzione, lo stesso forse che ha giocato brutti scherzi prima a David Cameron (autolesionista nel volere a tutti i costi il referendum sulla Brexit), poi a Theresa May, che invece di ritrovarsi più forte dopo il voto anticipato dell’8 giugno, ha perso parlamentari e non ha più la maggioranza assoluta a Westminster.


Il renzismo era una forma di berlusconismo politicamente corretto, capace di raccogliere un consenso amplissimo da vecchia DC. Solo che gli elettori del centrodestra hanno resistito alle sirene, hanno aspettato sottotraccia che i tempi fossero maturi per la rinascita, e adesso timidamente cominciano a uscire allo scoperto, a pronunciarsi nel segreto dell’urna. A esporsi. Senza tuttavia avere altro leader all’infuori di Berlusconi che non è candidabile, azzoppato da una lunga persecuzione giudiziaria tortuosamente andata a bersaglio.

Eppure il berlusconismo è più forte degli stessi destini personali di Berlusconi. Corrisponde all’idea di una coalizione del centrodestra, di una unione dei diversi, dall’anti-europeista Salvini ai centristi europei del  presidente del Parlamento UE Tajani. Si fonda sullo zoccolo duro, oggi in forte consolidamento, di un elettorato insofferente del governo del Pd e del costante ricatto della sinistra che non si arrende neppure davanti al crollo di voti e consensi.

Uno zoccolo duro che è sempre stato diffidente verso Grillo anche se per protesta gli è capitato di votarlo.

Il centrodestra, da Salvini a Berlusconi, recupera le proprie armate elettorali, arresta il declino e risale, confidando nel tempo che manca al voto per la naturale scadenza della legislatura. L’incognita è la tenuta, la capacità di reazione dei 5 Stelle a livello nazionale, mentre la sinistra, sia quella moderata e illuminata di Renzi, sia quella radicale e nostalgica dei post-comunisti, sembra avere fatto il suo tempo. E avviarsi ad affrontare inesorabilmente disgregata i prossimi, decisivi appuntamenti.  

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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