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Ansa/EPA/LISE ASERUD
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Anders Breivik: la decisione dei giudici di Oslo è una lezione di civiltà

Hanno applicato l'articolo 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo senza considerare il profilo e la proiezione pubblica dell'assassino

Sembra assurdo, folle, pazzesco. Il neonazista impenitente Anders Breivik è il diavolo in persona agli occhi di qualsiasi persona normale.

Il 22 luglio 2011 fece esplodere una bomba nel centro di Oslo, uccidendo 8 persone. Poi andò in barca all’isola di Utoka dove si teneva un raduno di giovani progressisti e li massacrò meticolosamente inseguendoli fin sugli scogli: ne ammazzò 69. Una mattanza che neanche durante il processo lo indusse a un barlume di rimorso.

Il suo unico rimprovero a se stesso fu di non essere riuscito a ucciderne di più. Breivik è stato poi condannato a 21 anni di galera.

Fatti i conti, 3 mesi per ogni omicidio. E questo a molti già parve inaccettabile.

Fra l’altro, Breivik è “detenuto” in trentuno metri quadrati con palestra, servizi e televisore. Ma per cinque anni, lo stragista neo-nazi è stato tenuto in isolamento.
E questo, secondo i giudici di Oslo che hanno applicato l’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo, è un trattamento disumano. E come tale, merita un risarcimento: 35mila euro più 151mila di spese processuali.

Dalla Norvegia, una lezione di civiltà
Qualcuno potrà dire (ha detto) che siamo nel campo del surreale assoluto, dello scollamento fra la realtà e un mondo onirico nel quale vigono solo princìpi astratti, che questo “trattamento” (soltanto 21 anni di pena, più le condizioni “norvegesi” di carcerazione, infine la sentenza sulla disumanità dell’isolamento) è una mastodontica offesa alle famiglie delle 77 vittime.
Tuttavia, non c’è dubbio: dalla Norvegia arriva un’altra lezione di civiltà.

I magistrati hanno avuto il coraggio di giudicare sulla base degli elementi di fatto e giuridici, non considerando il profilo e la proiezione pubblica di Breivik.

In Norvegia non c’è pena di morte, come non c’è ergastolo, una misura che contraddice il principio per cui qualsiasi reo possa emendarsi.

Rispetto ai paesi nei quali l’ergastolo esiste ma non c’è certezza di pena, si tratta di una posizione rispettabile e coerente.

E non c’è dubbio che si possa essere disumani (anzi, la tentazione di esserlo è ancora più forte) o comunque difensivi e quindi limitativi, rispetto a chi ha il diavolo in corpo. A chi non si è pentito e ha le mani lorde del sangue di decine di ragazzini. Ma non per questo si è meno disumani. E il diritto occidentale impone che la disumanità venga sempre punita.

La decisione dei magistrati di Oslo è quindi impeccabile.
Fa rabbrividire, dice qualcuno. Ma è il verdetto di un paese forte, anche idealmente, non il verdetto della sottomissione molle al carnefice trattato “con i guanti”.

I diritti dell'assassino

EPA/ALEKSANDER ANDERSEN

22 luglio 2013. Corone di fiori sul molo di Utvika, in Norvegia, di fronte all'isola di Utøya a Tyrifjorden, Buskerud, nel secondo anniversario degli attentati terroristici del 22 Luglio 2011, attuati contro il governo e contro la popolazione civile della Norvegia: in un campo politico estivo dell'organizzazione giovanile del Partito laburista norvegese, sull'isola di Utøya a Tyrifjorden, Buskerud e al quartier generale del governo a Oslo. Per entrambi gli attentati è stato condannato il norvegese Anders Breivik, anti-multiculturalista, fondamentalista cristiano, con ideologie di estrema destra, che sta scontando 21 anni di carcere.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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