Il romanzo italiano di Mafia Capitale
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Il romanzo italiano di Mafia Capitale

Gli affari locali, le coop rosse, il terrorismo nero, la mafia, e l'ipocrisia di tanta politica: ancora una volta, "è l'Italia bellezza!"

Quando uno è buono è buono. O no? Come Salvatore Buzzi, che da giovane (24 anni) ha ucciso un ex socio con 34 coltellate ma poi si è inventato una seconda vita da rendento-redentore. Una spolverata di cultura, una spennellata di rosso, un istinto sicuro per il politicamente corretto: ingredienti perfetti perché un omicida riesca a ottenere la grazia dopo 11 anni su 24 (dal presidente Oscar Luigi Scalfaro, magistrato d’acciaio, tuttavia sensibile a certe mozioni dei sentimenti), uscendo dal carcere aureolato e con il crisma del campione di bontà.

La biografia criminale di Salvatore Buzzi


Le icone della sinistra buonista ci sono tutte nella sede della cooperativa "29 Giugno", a cominciare dal Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. È bastato a Buzzi mettersi dalla parte dei fragili e disadattati, esercitare un "impegno" sociale in nome di un ideale di rivalsa e riscatto, ed essere lui stesso l’incarnazione del "compagno che sbaglia", foss’anche per aver commesso un crimine comune, per entrare nel giro del welfare locale. Avete notato che anche adesso, anche dopo l’esplosione dello scandalo e magari dopo che sono usciti gli sms in cui l’ex patron della "29 giugno" augurava un anno di più "sfollati, rifiuti e bufere", Buzzi e la sua coop rossa vengono elogiate, portate in palmo di mano, dipinte come il top del top della solidarietà. Potevamo mai immaginare che…?

La maschera buona che non c'è

A me pare che l’ipocrisia regni sovrana, tra le pieghe di un’inchiesta che deve ancora sviluppare tutte le sue potenzialità (e colpire tutti i bersagli). Con un’accusa così pesante come quella per mafia (416 bis), non saranno in molti a resistere agli interrogatori e parecchi, invece, a essere indotti alle soffiate, alle chiacchiere, alle accuse. A dire tutta la verità e forse anche di più. Ma l’ipocrisia, ecco, è almeno uno spettacolo che avremmo sperato ci fosse risparmiato.

L’ipocrisia di media e politici che tratteggiano questa vicenda come qualcosa che è nata solo con Alemanno, che risale solo a persone legate al terrorismo nero (uno dei protagonisti coi suoi bravacci è Massimo Carminati, ex Nar) e nulla ha davvero a che vedere con la sinistra buona. L’ipocrisia di ritenere che Buzzi abbia di nuovo attraversato il confine tra male e bene (dopo aver varcato da giovane quello tra bene e male) solo perché traviato, lui rosso, dal nero Carminati.

La realtà, azzardo, è un’altra. Non c’è una maschera buona di Buzzi. C’è Buzzi con la sua storia, non tutta emersa. Buzzi che lavora dagli anni ’80 con il Comune di Roma, che cresce e si espande con le amministrazioni di sinistra da Rutelli a Veltroni, che deve accreditarsi con Alemanno quando i romani decidono di elevare al Campidoglio un post-fascista.
Altra ipocrisia è quella dei grillini che respirano nuovo ossigeno grazie a Mafia Capitale, che si presentano come gli illibati, intonsi candidati “uno uguale uno”, pascendosi delle spoglie di un duplice smascheramento: la destra e la sinistra egualmente implicate in ruberie pelose, come pelosa è la bontà dei buonisti.

Buzzi e la mafia

Non tacciono, anzi parlano, anzi alzano la voce, tutti quelli che hanno dato credito a Buzzi & Company in questi anni. Buzzi che nella sua relazione di bilancio tesseva l’elogio della sinistra che non deve rinchiudersi in piccoli orizzonti e piccole dimensioni, ma estendere, ampliare la sua bontà. Buzzi che denuncia, lui indagato per mafia, d’esser stato minacciato dalla “mafia dei cimiteri”, dopo aver ottenuto l’appalto per i fiori e giardini del Verano. Buzzi che si fa ritrarre coi gran capi delle cooperative a partire dall’attuale ministro Poletti che delle coop era, appunto, il mega-presidente. Buzzi che dimenticando le sue origini comuniste va a braccetto con la destra quando sul Campidoglio sventola la bandiera nera.

È l’Italia, bellezza. L’Italia che adesso può perdere altro tempo, incantata dalle storie che s’intrecciano di questo nuovo capitolo del romanzo che è la storia “patria” del Dopoguerra, senza che vengano affrontati i problemi veri: le riforme da fare e non da annunciare, la produzione da rilanciare e non da deprimere. Roma ladrona ha riconquistato la scena. Il romanzo prosegue, l’ipocrisia anche. E tutto sarà come prima.
 

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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