Torino e Roma
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Vorremmo una banca

Chi pensa che la nuova generazione dei 5Stelle sia solo chiacchiere e propaganda, commette un grosso errore

Sono chiacchiere e propaganda, sanno urlare solo vaffa e onesta-tàtà. Bene, chi pensa questo della nuova generazione dei grillini che governerà Torino e Roma non ha capito un fico secco. Il Movimento ha già cambiato pelle. Ovviamente la base è rappresentata da moderni sanculotti, un popolo di avvelenati dalla politica tradizionale al quale si aggregano alla bisogna altri elettori per mandare un vaffa (loro sì) al governo.

Questo popolo ha votato e ha umiliato Matteo Renzi e il Pd, che dalla capitale in giù ha tra l'altro davanti a sé una serissima questione meridionale che per insipienza e bulimia di potere non ha voluto affrontare nei mesi scorsi. Ma torniamo ai 5 stelle e alle regine di queste elezioni, Chiara Appendino e Virginia Raggi. Concentriamoci su Torino. Il primo atto del neo sindaco del capoluogo piemontese, una trentaduenne con laurea in economia internazionale e master in Bocconi, è stato un preavviso di sfratto al presidente della Compagnia di San Paolo, Francesco Profumo, fortissimamente voluto su quella poltrona da Piero Fassino poco prima delle elezioni. Appendino poteva dedicare il suo pensiero, che ne so, al verde pubblico o agli asili. No, ha scelto il presidente della Compagnia.

E non a caso. Lei sa che nelle casse del Comune non ci sono euro per finanziare attività di rilancio: la Compagnia di San Paolo e la Fondazione Crt sono invece i due polmoni che, regnante Piero Fassino, hanno dato negli anni l'ossigeno necessario attraverso l'erogazione di centinaia di milioni (oltre 200 nel solo 2015). La Compagnia di San Paolo è il primo azionista di Intesa Sanpaolo (cioè della prima banca italiana per capitalizzazione) con quasi il 10 per cento; la Fondazione Crt è invece nel capitale di Unicredit (colosso europeo del credito) con circa il 2 per cento. Entrambe le fondazioni hanno all'interno dei loro consigli rappresentanti del Comune. La San Paolo ne ha due e tra questi (non per statuto ma per "tradizione" come ha sottolineato la Compagnia dopo le parole della Appendino) viene scelto il presidente. Va da sé che mettere le mani sulla cassaforte della Compagnia significherebbe una svolta davvero epocale. Per un altro particolare non indifferente. La Fondazione deve vendere entro primavera 2018 una quota cospicua delle azioni di Intesa in suo possesso, intorno al 5 per cento: significa che ricaverà almeno 2 miliardi di euro. Che ne farà di questa montagna di denaro? Chi deciderà come impiegarli? Fatte tutte queste considerazioni dovrebbe essere più chiara l'uscita della Appendino. Non siamo al mitico "abbiamo una banca" che tanti dispiaceri costò a Fassino, per carità. Di strada ne devono fare, e parecchia, i 5 stelle. Però non giudicateli dei clown della politica, sarebbe un errore tragico.

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Giorgio Mulè