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ANSA/Daniele Bennati
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Terrorismo: quel che ci insegna il "Paziente Zero"

Anis Amri, l'attentatore di Berlino, è il simbolo della progressione della malattia dell'integralismo. L'editoriale del direttore Giorgio Mulè

Anis Amri, il tunisino responsabile della strage al mercatino natalizio di Berlino ucciso dalla polizia il 23 dicembre a Sesto San Giovanni (come annunciato in esclusiva mondiale dal sito internet diPanorama), è il nostro "Paziente Zero" sul fronte dell'estremismo islamico. Ha contratto il virus della Jihad in Italia e, solo dopo che la sua mente ne è stata pervasa fino ad esserne ottenebrata, ha superato i confini per colpire in Germania e ha cercato poi di nascondersi a Milano magari con l'idea di proseguire nella sua follia.

La progressione della sua "malattia" è stata seguita in diretta per oltre cinque lunghissimi anni dai nostri apparati di prevenzione, repressione e analisi: sapevamo tutto di lui, ogni mutazione del virus era stata osservata e ne era stata valutata la pericolosità sempre crescente. La polizia, i responsabili delle carceri, i magistrati e ovviamente l'intelligence avevano una diagnosi dettagliata che convergeva su una prognosi nefasta: Amri era pronto a colpire, Amri avrebbe colpito. E così è stato.

La domanda successiva è inesorabilmente figlia della logica: possibile che non esistesse un antidoto per fermare Amri? C'era o no un vaccino nel nostro sistema in grado di bloccare la "malattia" del tunisino sbarcato a Lampedusa e che poi si è radicalizzato diventando un terrorista talmente accecato dal suo furore da trasformarsi in un martire? La risposta è sconsolante: sì, il vaccino c'era ma non è stato efficace. Amri poteva essere fermato, questa è la verità. Ma nessuna delle barriere preventive e repressive tra luie l'idea dissennata di seminare mortea Berlino ha funzionato: l'intero sistema si è rivelato inefficace. E ha fallito. È stato fermato grazie alla casualità ma anche alla professionalità e al coraggio dei poliziotti di una "volante".

Ma guardiamo avanti e chiediamoci: se Amri è il "Paziente Zero", cioè il prodotto avariato di questa immigrazione non gestita, quanti come lui sono già infettati e pronti a colpire? Sono centinaia, addirittura oltre 150 le persone "monitorate" dai servizi di sicurezza: monitorate significa che siamo di frontea dei fanatici che accarezzano l'idea di compiere atti di terrorismo.E sono quasi 400 gli islamici già in carcere che vengono definiti a "rischio radicalizzazione". Come lo fu, cinque anni fa, Anis Amri. Si tratta di metastasi pronte a minare la nostra convivenza, bombe potenzialmente innescate per farsi esplodere nelle nostre città. La storia di Amri è lì a dimostrarci che non siamo immuni, come inutilmente ripetiamo da anni. Lo abbiamo detto, inascoltati, già all'indomani degli attentati di Parigi: a un'azione di aggressione straordinaria deve corrispondere una reazione di prevenzione straordinaria. Questa può e deve passare anche attraverso la sospensione di alcuni diritti, come quello che autorizza l'intervento solo dopo che sia stato commesso un reato. La nostra società, la nostra civiltà, va preservata da questi virus micidiali. Come in passato, per il terrorismo interno o la mafia, accettammo alcune inevitabili forzature dello stato di diritto (forzature al limite o già oltre la costituzionalità) a maggior ragione il confine va oltrepassato oggi di fronte a minacce così tenebrose. Senza ulteriori indugi. Di mezzo, se ancora non fosse chiaro, c'è la nostra vita.

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Giorgio Mulè