dacca-vittime-funerali
ANSA/Paolo Giandotti - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica
News

Ragionare con le lacrime non serve a nulla

La reazione alla tragedia di Dacca non può fermarsi alla commozione. La politica deve prendere decisioni adeguate

Ragionare con le lacrime è sempre sbagliato. Perché inevitabilmente il quadro ci appare sfuocato, confuso, caliginoso. Registriamo la mattanza dei nostri connazionali in Bangladesh e ovviamente la pena si mischia alla rabbia, il dolore cede spazio all'orrore.

Era già successo altre volte nel recente passato di piangere italiani vittime del terrorismo. Sappiamo che questa volta è ancor più penoso perché il rituale del massacro è diverso: immaginiamo la sequenza barbara dei fatti con le "lame affilatissime" che si accaniscono sulle vittime e fatichiamo a trovare pace. Le lacrime, dunque. La nostra reazione, quella di un popolo che a qualsiasi latitudine è nel mirino dei macellai dell'Isis ben prima della carneficina di Dacca, quale sarà? Sappiamo che la rappresaglia e la vendetta sono reazioni inutili, perfino dannose. E poi: chi colpisci? Dove? Con quale criterio? Una qualsiasi operazione "Collera di Dio" (come avvenne dopo il massacro degli atleti israeliani a Monaco '72) è fuori dalla storia e non servirebbe a nulla. E poi, soprattutto, siamo l'Italia: non lo abbiamo mai fatto e certamente abbiamo fatto bene a non farlo.

Ma la reazione non può fermarsi alle lacrime; deve semmai lasciare spazio alla razionalità della politica, cioè alla capacità della politica di prendere decisioni adeguate alla gravità del pericolo. Noi questo straordinario pericolo lo conosciamo assai bene e Dacca rappresenta solo la certificazione di un orrore che prima o poi sarebbe toccato a noi. Abbiamo ripetuto fino alla noia che quella dell'Isis è una guerra asimmetrica e senza un campo di battaglia definito, che tutto l'Occidente con la sua radice culturale laica e tollerante costituisce, in quanto tale, il "nemico" che si vuole abbattere. Sappiamo che proclamare di investire un euro in cultura per ogni euro in sicurezza è uno slogan affascinante ma, amici cari, "si vis pacem, para bellum" e allora prima si estirpa la malapianta e dopo pensiamo ai libri.

Noi, intesi come Italia, abbiamo invece preferito stare in seconda o terza fila: abbiamo deciso di non entrare nel campo di battaglia. Questo atteggiamento, com'era ovvio, non ci ha fatto uscire dal mirino (Dacca docet) dei terroristi con buona pace di chi pensava che fossimo al riparo per il semplice fatto che ci guardiamo bene dallo sganciare bombe sulle roccaforti dell'Isis. Illusi. Abbiamo ignorato tuttoe ci siamo persi nello sterile mito della mitomania delle riforme. Credevamo di costruire il nuovo mondo in casa nostra: non solo non lo abbiamo costruito, ma abbiamo solo puntellato il vecchio. Date un'occhiata alla cronaca politica e giudiziaria di questi giorni e ne avrete la riprova.

I più letti

avatar-icon

Giorgio Mulè