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ANSA/MOURAD BALTI TOUATI
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Non mettere il bullo nelle urne

L'incertezza sulla data delle prossime elezioni amministrative fa pensare che Renzi senta puzza di sconfitta

Il Pd ha scelto il suo candidato per Milano: sarà Giuseppe Sala. Alcune considerazioni a margine della consultazione vanno fatte. I numeri delle primarie dicono che il popolo di Matteo Renzi è minoritario: il premier si è speso in tutti i modi per sponsorizzare il manager ma il risultato del 42 per cento dei consensi, paradossalmente, rappresenta una sconfitta. Vediamo perché. Non c'è stato l'assalto ai gazebo (eccezion fatta per i cinesi) e anzi hanno votato meno persone rispetto al 2010. Questo significa che il duo Sala-Renzi non è riuscito a entusiasmare e che, nonostante gli spot a reti televisive unificate sulle gesta del suo governo, il premier non è in grado di affascinare i milanesi. Seconda considerazione: gli altri due candidati non di area renziana (Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino) insieme raggiungono il 57 per cento e quindi, se i due avessero trovato un accordo piuttosto che dividersi, oggi quello sarebbe il tandem d a battere con tanti saluti a Sala e al suo demiurgo Renzi.

A questo punto il centrodestra non è chiamato ad applicare chissà quali alchimie se vuole avere la chance di conquistare il governo di Milano. I consensi dei partiti del centrodestra, a leggere le rilevazioni dei sondaggi, superano quelli del centrosinistra. Si aggiunga che il Movimento 5 stelle, all'ombra della Madonnina e a differenza di Roma, ha scarse o nulle possibilità di giocare la partita per la conquista del Comune. I partiti maggioritari del centrodestra - cioè Forza Italia, Fratelli d'Italia e Lega - hanno una sola via da percorrere per non tradire il loro elettorato: convergere in maniera unitaria su un candidato. Trovare cioè un punto d'incontro mettendo da parte questioni di principio, di puntiglio o peggio di rivalsa personale. Nella capitale il rischio della frantumazione e del fallimento è dietro l'angolo: lasciare Alfio Marchini a correre da solo o con pezzi del centrodestra sarebbe garanzia certa di sconfitta. E sarebbe un delitto nella città dove il Pd ha dato una prova nefasta di amministrazione.

La certezza che Renzi senta in maniera distinta puzza di sconfitta è legata alla data delle elezioni amministrative. Il governo vuol far votare più in là possibile, addirittura il 5 giugno con ballottaggi il 19. E, a Milano come a Roma o a Napoli, quanti elettori soprattutto moderati preferirebbero un sano weekend di relax al mare piuttosto che rientrare per votare? Entro oggi, 15 febbraio, su proposta dell'esecutivo, il presidente Sergio Mattarella deciderà la data (che è nazionale, non regionale). La tornata popolare si deve tenere, per legge, tra il 15 aprile e il 15 giugno. Si pensava a domenica 17 aprile, perché il governo punta a non far raggiungere il quorum. Ma il 17 aprile è stata già fissata la data per il referendum. Dalle possibilità va escluso il 24 aprile (c'è il ponte del 25 aprile) e ovviamente domenica 1 maggio. Perché non votare allora l'8 maggio con un election day (amministrative più referendum) che farebbe risparmiare circa 300 milioni di euro? E magari ripristinare, comunque si risparmierebbe rispetto alla doppia consultazione, la possibilità di votare anche il lunedì mattina? Forse perché le primarie del Pd a Roma si svolgeranno solo il 6 marzo e quindi il candidato avrebbe poco tempo per la campagna elettorale? C'è solo una persona che può arginare l'ennesimo atto di bullismo istituzionale ed è il presidente della Repubblica. Altrimenti la partita parte già falsata.

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Giorgio Mulè