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Non è un paese per innocenti

L'uso politico della giustizia è un delitto contro la democrazia, come dimostra, da ultimo, il caso di Stefano Graziano

L'uso politico della giustizia costituisce un delitto gravissimo contro la democrazia perché ha la presunzione e la forza di sostituirsi alla volontà del popolo nel solco di un ragionamento che di fatto è una bestemmia. Il ragionamento è il seguente: a un singolo atto della magistratura, non dei giudici, si badi bene, ma della magistratura inquirente e quindi dei pubblici ministeri, deve corrispondere un comportamento di annientamento del destinatario dell'atto. Il destinatario deve cioè inabissarsi, scomparire. Se ha responsabilità pubbliche dovrà dimettersi, se è un dirigente di partito dovrà autosospendersi. Dovrà assumere una forma di catalessi, uno stato di morte apparente, fin quando la sua vicenda giudiziaria non sarà conclusa.

Questo schifo ha permeato da ultimo il Movimento 5 Stelle, ma l'olezzo di questi comportamenti è facilmente rintracciabile nel vissuto di gran parte della sinistra dagli albori di Tangentopoli fino ai nostri giorni. Non vi dice nulla la ventennale caccia all'uomo nei confronti di Silvio Berlusconi? In questo impazzimento siamo riusciti a superare anche l'aberrazione che il sospetto sia l'anticamera della verità, pensate quanti passi indietro siamo stati capaci di fare. Nella farsa in corso a Roma si citano a capocchia articoli del codice di procedura penale (ultimamente va tanto di moda il 335) e li si equipara a provvedimenti che, nelle intenzioni della nuova inquisizione, dovrebbero avere la stessa forza di una sentenza definitiva.

Si tratta invece solo dell'avvio di una verifica o, al più, di indagini che non sono sorrette da prove. L'iscrizione nel registro degli indagati è diventato per questi pazzi lo stigma dell'infamia, la certezza dell'immoralità. E solo un pazzo può mettere in atto questa devoluzione della ragione in favore di un potere, quello della magistratura inquirente, che oramai anche le pietre hanno capito essere soggetto al richiamo della ribalta politica (andatevia guardare l'elenco di pm transitati dai palazzi di giustizia a quelli del potere). A questo punto tanto vale abolire il Campidoglio e affittare una palazzina adiacente a Monte Mario: ufficio del sindaco da una parte e Procura della Repubblica dall'altro lato della strada.

Questa sudditanza non colpisce solo i Cinquestelle, sia chiaro. La vicenda di Stefano Graziano che raccontiamo attraverso le sue parole sul numero di Panorama in edicola, è l'esempio perfetto. Graziano è presidente del Pd in Campania fino a quando alla fine dell'aprile scorso viene indagato con squilli di tromba per concorso esterno in associazione mafiosa. Si autosospende senza aspettare alcuna sollecitazione mentre invece i suoi compagni (sic!) di partito spingono i giornali a scrivere che sono stati loro a costringerlo, la segreteria del Pd diffonde il messaggio di essere "glaciale" verso di lui, Matteo Renzi fa soffiare ai retroscenisti di fiducia di non aver mai considerato Graziano uno dei suoi. Un cumulo di bassezze vergognose senza che questi signori si facciano mai sfiorare dal dubbio che il loro bersaglio possa anche essere innocente. I principali giornali italiani dedicano i titoli più importanti della prima pagina alla vicenda. Graziano subisce il "trattamento" e finisce in catalessi. Succede però che oggi un giudice abbia archiviato le accuse infamanti di collusione tra Graziano e la camorra. Sugli stessi giornali che urlarono la notizia, l'archiviazione merita poche righe ben nascoste nelle pagine interne. Il Pd abbozza. Sono passati meno di cinque mesi. Un uomo si può uccidere anche così.

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Giorgio Mulè