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Il Novecento è morto e noi non ci sentiamo tanto bene

In Francia il primo turno ha cancellato la politica del secolo scorso. Un cambiamento che manca in Italia: ci sono i germogli ma non la struttura

Macron-Lepen, elezioni franciaEmmanuel Macron e Marine Le Pen: al ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi del 7 maggio 2017PHILIPPE LOPEZ/AFP/Getty Images - JOEL SAGET/AFP/Getty Images

La certezza che si ricava dopo il primo turno delle elezioni presidenziali francesi è che Oltralpe si sia seppellito definitivamente il Novecento, il secolo delle ideologie e delle forme partito classiche.

Chi si contenderà la vittoria ha infatti compiuto un percorso di sganciamento totale da tutte le piattaforme che eravamo abituati a conoscere: sinistra, destra, centro.

Emmanuel Macron e Marine Le Pen incarnano, ognuno a modo loro, un'idea di populismo.

Che non è deriva della ragione e proiezione di nichilismo amministrativo, ma l'essenza di un'epoca nella quale il "popolo" pretende di tornare protagonista coni bisogni e le priorità spesso in contraddizione rispetto al dettato degli organismi sovranazionali.

Se da un lato Marine Le Pen è l'immagine originaria del populismo nazional-popolare, rurale e arrabbiato, Emmanuel Macron è figlio del disgregamento del sistema e rappresenta un populismo social-popolare, nel quale però anche borghesi e ricchi possono serenamente trovare posto.

Questo processo di cambiamento politico, al quale la Le Pen ha dato una fortissima accelerazione obbligando Macron a una sorta di partenogenesi con l'abiura ad Hollande e l'invezione del movimento "En Marche!", non trova oggi corrispondenza in Italia.

Ci sono i germogli di questa trasformazione, ma manca la struttura.

Sul Movimento 5 stelle, Panorama ha spiegato con un servizio di copertina quanto sia lunare, pericoloso e inapplicabile il programma.

Il centrodestra, che è maggioranza nei sondaggi come coalizione, deve ancora capire che si legittima agli occhi dell'Italia solo se ha la maturità di presentare al più presto un programma condiviso e dettagliato che non preveda l'egoismo dei singoli partiti.

E poi c'è il Pd, cioè la forza che attualmente governa. Conquistata la scontata vittoria alle primarie del partito democratico del 30 aprile, Matteo Renzi sarà protagonista, per dirla alla francese, di un revanscismo provinciale che determinerà soltanto l'ennesima resa dei conti. Assisteremo a Renzi contro Renzi, avremo non uno statista ma un politico di piccolo cabotaggio che vorrà liberarsi delle sue stesse creature, importanti o di seconda fila, diventate però ingombranti e non allineate. Basta rileggere dichiarazioni o retroscena consegnati nelle ultime settimane ai fidi narratori per avere una lista parziale che comincia da Pier Carlo Padoan e prosegue con Carlo Calenda, Antonio Campo Dall'Orto e giù giù fino alla segreteria.

Certo, c'è l'incognita non secondaria delle inchieste giudiziarie che potrebbe far crollare tutto il castello, se la Procura di Roma arrivasse alla conclusione che il "giglio magico" si è comportato come un'associazione a delinquere.

In questa indeterminatezza tuttavia c'è di sicuro un Paese senza bussola, incapace di onorare una legge appena varata e anzi di fare repentini passi indietro anche imbarazzanti, come nel caso del tetto ai compensi degli artisti Rai o per le vicende dell'autorità anticorruzione.

E con una prospettiva dalla quale non si sfugge: la manovra "monstre" del prossimo autunno.

Volete un pronostico, anzi un presagio? Renzi ne prenderà le distanze, dirà che se ci fosse stato lui l'avrebbe pensata diversamente.

Tattiche da politicanti di fine Novecento e nulla più.

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Giorgio Mulè