Charlie Hebdo, Houellebecq e la democrazia
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Charlie Hebdo, Houellebecq e la democrazia

La strage di Parigi compiuta all'indomani della pubblicazione del libro "sottomissione" di Michel Houellebecq. Che disegna uno scenario per nulla fantasioso. Ecco perché.

Stavo scrivendo questo articolo sul caso Houellebecq quando è arrivata la drammatica notizia proveniente da Parigi. Un commando di due persone è entrata nella sede del giornale satirico francese Charlie Hebdo uccidendo almeno 11 persone. (successivamente il numero dei morti è salito a 12) Non si hanno ovviamente conferme, ma il fatto che i due assalitori siano stati visti vestiti di nero e che il giornale abbia pubblicato recentemente vignette sarcastiche su Maometto, autorizzano gli osservatori a credere che la strage sia stata pianificata da ambienti terroristici islamici. Per avere conferma occorrerà aspettare anche solo qualche ora, (successivamente si è avuta conferma che la strage è stata portata a termine da un commando islamico) ma quello che è successo mi convince sempre di più che sul caso Houellebecq occorrerà aprire una discussione non solo letteraria. Il fatto è noto: lo scrittore francese ha scritto un romanzo, “Sottomissione” (in uscita in Italia il 15 gennaio) nel quale immagina che nel 2022 la Francia decida di farsi governare da un leader musulmano, Ben Abbes, che sconfigge l’avversario proposto dalla destra grazie ai voti della sinistra.

La cosa che mi intriga di più di tutta la faccenda è il fatto che molti intellettuali italiani, commentando il libro, non dicono affatto che quello disegnato da Hollebeq sia uno scenario assolutamente fantasioso, irrealizzabile, frutto di un irrefrenabile desiderio di polemica dell’intellettuale francese. Alcuni attaccano l’islamofobismo di Houellebecq, altri sottolineano il piacere fatto al Front National di Marine Le Pen e lo accusano di fare il gioco dell’”estrema destra”. E fin qui, tutto normale. Ma c’è anche chi (ad esempio Gian Arturo Ferrari) ritiene lo scenario disegnato da Houellebecq addirittura inevitabile attribuendo la responsabilità alla mancanza di politica in Europa e anche ad un vago senso di colpa che l’occidente nutre nei confronti del mondo arabo

Sul fatto che la politicia in Europa non esista, c’è poco da discutere, basta vedere come si sta comportando nei confronti di un problema di portata economica limitatissima come quello della Grecia. Il quale non può essere nemmeno affrontato dimenticando che il motivo della sua esplosione risiede nel niet tedesco di intervenire immediatamente nel 2010 con una quindicina di miliardi di euro di aiuti che avrebbero spento sul nascere qualsiasi focolaio di crisi economica. Fu un errore compiuto per il timore della cancelliera Merkel di perdere due elezioni locali in Germania. Fa un errore tecnico? No, fu innanzitutto un errore politico al quale ne seguì uno di portata ben maggiore: quando sempre la Germania letteralmente impedì la celebrazione di un referendum greco nel 2011 che avrebbe dovuto stabilire se accettare o meno gli aiuti della troika, gli stessi che stanno trascinando Atene nel baratro, oppure no. L’allora premier socialista Georges Papandreou fu costretto a ritirare la proposta del referendum dopo le ire di Bruxelles. Ire che oggi si sono trasformate in paura vera e propria, direi quasi terrore, per la concreta possibilità che alle elezioni del 25 gennaio possa vincere il partito di sinistra Syriza di Alexis Tsipras il quale non chiede l’uscita dall’euro, ma la rinegoziazione del debito greco. Ovvero: la fine della certezza del diritto europeo in materia fiscale.

Il no al referendum greco del 2011 e il terrore per il risultato delle prossime elezioni, vìolano il principio cardine sul quale è nato, è cresciuto e si è sviluppato l’occidente che è la democrazia. Se l’occidente è stato ed è un modello per gli arabi è esattamente per il rispetto assoluto (salvo saltuarie eccezioni) che ha sempre avuto per questo principio che oggi l’Europa mette in discussione quando insiste a ripetere che “l’euro è irreversibile” impedendo, o rendendo trascurabile,  l’opinione dei popoli sulla propria sovranità monetaria, cioè politica.

Impedendo di fatto di votare un referendum sull’accettazione o meno da parte della Grecia dei sacrifici (e degli aiuti) europei, si è violato in modo plateale quel principio cardine che non solo è il carattere distintivo dell’occidente ma è anche ciò che più attira l’Islam moderato. Quell’Islam che non vuole rinunciare alla propria religione ed è convinto che possa coesistere con la democrazia.

L’Europa ha paura della democrazia, cioè ha paura di ciò che la costituisce. Ha paura del libero arbitrio dei popoli ed è in questa rinuncia alla propria identità che consiste la sua debolezza e l'avvicina a chi la democrazia la odia. Non è il materialismo (economia di mercato) o l’individualismo (libertà personali) che stanno uccidendo l’Europa, ma è il disprezzo per la democrazia, cioè la rinuncia alla politica ed è per questo che, alla fine, votare un candidato qualsiasi oppure Ben Abbes non farà poi così tanta differenza. Siamo più arabi di quanto non vogliamo ammettere.

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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