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ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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Così la politica mortifica se stessa

La bulimia di incarichi a rappresentanti esterni dimostra la paura e l'incapacità di saper far rispettare le leggi

A margine del disastro di Roma si impongono alcune riflessioni. Una, in particolare, riguarda la lezione da trarre per il futuro dopo che questo centrosinistra ha coperto di vergogna il nome della Capitale con la deriva di un sindaco e di una giunta miseramente inadeguati al compito.

E non mi riferisco alle ruberie grandi e piccole contestate dall’inchiesta Mafia Capitale o alle barbonerie sulle spese al ristorante di cui Ignazio Marino è accusato. Il punto focale risiede nella qualità della classe politica, che non riguarda ovviamente solo Roma ma investe altre grandi città e arriva al governo del Paese.

La qualità della classe politica va a braccetto con la cultura della politica, intesa come servizio "pro civitate" e cioè capacità di amministrare il bene pubblico nel migliore dei modi. Si tratta di un compito che orgogliosamente dovrebbe rimanere tutto in capo a chi si propone come amministratore. Invece, la nomina di magistrati come assessori alla Legalità da parte di sindaci e presidenti di Regione non solo è sintomatico di una paura e di una incapacità preventiva a rispettare le leggi, ma denuncia anche la necessità, da parte dell’attuale classe dirigente, di dotarsi di un rappresentante esterno alla politica come se l’osservanza delle norme non fosse una pre-condizione.

Questo approccio, figlio di quella mancanza di cultura dell’amministrazione, ha causato una bulimia di incarichi che ha mortificato la politica trasferendo nell’opinione pubblica l’equazione errata che un magistrato è automaticamente un buon governatore. Nulla di più sbagliato e basta guardare alle antiche gesta di Antonio Di Pietro o di Antonio Ingroia; oppure alle attuali condizioni di Napoli e cioè di una metropoli mal curata da un ex pubblico ministero totalmente ignorante di politica e amministrazione.

A Roma si discute adesso se "promuovere" l’assessore alla Legalità (ovviamente un magistrato in aspettativa) a commissario della Capitale. Senza entrare delle capacità di questa persona, che sarà certamente un eccellente custode delle leggi ma non certo un amministratore puro, è ovvio che si tratterebbe dell’ennesima e bruciante sconfitta della politica. Tenendo anche conto del fatto che il commissario sarà nominato dal prefetto di Roma che non incidentalmente il governo ha trasformato nel "badante" di Marino (copyright dello stesso ex sindaco) e che già Matteo Renzi ha voluto come commissario al Giubileo. Come vedete è un circolo vizioso che inizia e finisce, sempre, con la mortificazione di una classe politica inadatta e inadeguata, il cui rifugio finisce per essere la devoluzione dei propri poteri e soprattutto della propria missione.

Se oltre il 50 per cento del corpo elettorale ha recentemente evitato con cura di recarsi ai seggi è proprio perché l’offerta della politica è inadeguata, se non respingente. E se non si vorrà finire col dare nuova linfa a movimenti come i 5 stelle, furbissimi predicatori dell’antipolitica, occorrerà al più presto ridare dignità a una nuova classe dirigente. Con candidati che, con la loro storia personale, siano già garanzia di possedere buone qualità di amministratore. Senza la necessità di farsi supportare da supplenti di cui francamente non se ne avverte la necessità.

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Giorgio Mulè