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Mattarella e l'accerchiamento dei magistrati

Il presidente della Repubblica ha legato la sparatoria al tribunale di Milano al clima contro le toghe. Capito Matteo Renzi?

Che non sarebbe stato un settennato presidenziale all’insegna dell’innovazione stilistica o tecnologica lo si era capito da subito. Un neopauperismo di stampo francescano nei modi e nei mezzi aerei o tramviari (a proposito di sicurezza chissà cosa avranno pensato al Quirinale appresa la notizia che il primo volo di linea per Palermo aveva ai comandi un pistolero) accompagnato da un burocratese di antica schiatta democristiana hanno fatto intendere che da Sergio Mattarella non ci si sarebbero potuti attendere effetti speciali. E tale sensazione si è confermata anche ieri, nel discorso “alla nazione” seguito ai tragici fatti di Milano.

Non fossero bastati un Gherardo Colombo oramai troppo confuso tra incarichi pubblici e privati e l’immancabile sindacato dei magistrati a sproloquiare sulla responsabilità del gesto di un folle originata, a dire loro, dal sempiterno clima ostile verso le toghe è arrivata, puntuale, anche la banalità di rango costituzionale. “Di fronte alle molteplici minacce interne ed al terrorismo internazionale, i magistrati sono sempre in prima linea (e dove dovrebbero stare invece?). E va respinta ogni forma di discredito nei loro confronti”.

Se la prima parte dell’affermazione è capace di fare invidia a Monsierur de Lapalisse, la seconda proprio risulta incomprensibile nel contesto dei fatti di ieri. Chi la avrebbe armata la mano di Giardiello secondo questa intemerata? Salvini? Berlusconi? O magari pure Renzi che ha osato adombrare che 2 mesi di ferie per un magistrato siano troppe? Con tutto il rispetto, non sembra che in una simile circostanza la vita di un magistrato possa essere messa su un piano diverso da quella di un avvocato o di un semplice testimone. La presunta sindrome da accerchiamento torna buona solo alla, questa si sempiterna, difesa corporativa di una tra le più potenti ed insindacabili categorie del servizio pubblico. E, probabilmente, a giustificare il prossimo obiettivo nella inestinguibile disfida tra politica e magistratura. Un obiettivo che somiglia tanto al nuovo inquilino di Palazzo Chigi.

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