La legge a Bologna per il matrimonio gay
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La legge a Bologna per il matrimonio gay

E' guerra nel capoluogo emiliano tra il sindaco ed il Prefetto "colpevole" di aver chiesto il rispetto delle regole

“Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai, sempre pietre in faccia prenderai”. Ricordare Antoine di prima mattina era necessario per mettere insieme qualche considerazione sullo scomodo mestiere dell’uomo normale. Perché è normale che un Prefetto chieda ad un sindaco di osservare le leggi. Tranne che in Italia.

A Bologna, dove la gara al sensazionalismo amministrativo che vede in campo comuni e regioni per assicurarsi consensi trasversali tra richiedenti asilo, aspiranti genitori o sposi gay, anelanti di un’eterologa senza legge ha battuto un nuovo record al rialzo, il rappresentante del governo si è convinto che un po’ d’ordine normativo andava, in fondo, ripristinato. E partendo da tale quintessenza dell’ovvio, ha preso carta e penna per ricordare al primo cittadino che l’ordinamento dello stato civile italiano non prevede registrazione alcuna, né tanto meno effetto giuridico, per i matrimoni tra persone dello stesso sesso ovunque celebrati.

Nessun giudizio di merito, nessuna posizione preconcetta, solo ed esclusivamente un ragionamento in punta di diritto, peraltro un atto dovuto a seguito di un esposto di un consigliere comunale della città. Apriti cielo.

Immediatamente si sono levati cori sdegnati di associazioni, cenacoli intellettuali, politica e dintorni che devono avere convinto il sindaco Merola che, in fondo, un ammutinamento istituzionale ci poteva pur stare. Detto, fatto il sindaco risponde a brutto muso al Prefetto che lui a ritirare la delibera istitutiva di questo fantasma protocollare non ci pensa proprio. Ed ecco il refrain di Antoine torna a farsi sentire, di volta in volta adattato ai comportamenti di chi, evidentemente sbagliando, ritiene possibile in questo paese assumere posizioni nel solco di quanto norme e leggi prevedono.

Ma se il giudizio “morale” o ideologico prevale, allora ecco che, di volta in volta, se esprimi un’opinione contraria a matrimoni ed adozioni gay sei omofobo.

Se sorridi di fronte all’ipocrisia del pallottoliere delle quote rosa o non ti rivolgi ad una donna chiamandola “Prefetta” (Boldrini docet) sei sessista.

Se evidenzi un certo disagio per le strade della tua città dove albergano senza regola e decoro centinaia di stranieri o compri due banane dal fruttivendolo o fischi Balotelli perché sbaglia un rigore sei razzista.

Se di fronte alle immagini dei tagliagole dell’Isis pensi che il napalm andrebbe rivalutato sei un guerrafondaio.

Se critichi il processo sulla presunta trattativa “stato-mafia” sei a tua volta mafioso così come se affermi che il film della Guzzanti è una “cagata pazzesca” (cit. Fantozzi). E ti senti impotente e solo almeno quanto l’Incompreso di Florence Montgomery. Tanto “il giorno che vorrai difenderti vedrai che tante pietre in faccia prenderai, sarà così finché vivrai, sarà così”.

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