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La memoria di Mori ed il “professionismo antimafia”

La memoria di 163 pagine con la quale il Generale Mario Mori ha replicato al pubblico ministero Di Matteo che aveva appena chiesto per lui la condanna a nove anni di reclusione con l’infamante accusa di avere, lui uomo di …Leggi tutto

La memoria di 163 pagine con la quale il Generale Mario Mori ha replicato al pubblico ministero Di Matteo che aveva appena chiesto per lui la condanna a nove anni di reclusione con l’infamante accusa di avere, lui uomo di punta dei carabinieri nella lotta alla mafia, favorito la latitanza di Bernardo Provenzano, meriterebbe di essere introdotta come libro di testo in tutte le accademie di polizia.

Ma, ancora di piu’, ai corsi di formazione per gli uditori giudiziari, futuri pubblici ministeri e nelle scuole quando si parla ai giovani, spesso a sproposito, del fenomeno mafioso.

Le dichiarazioni spontanee del Generale si sono rivelate un durissimo atto d’accusa contro quel ben individuato movimento di pensiero che del “professionismo antimafia” ha fatto base per ben altre battaglie ideologicamente connotate, utili all’affermazione di singole personalita’, e relativi ego, del mondo giudiziario, politico, giornalistico e intellettuale. Una vera e propria “consorteria” che ha sfruttato la sensibilita’ genuina di giovani e meno giovani su un tema di tale portata come la lotta al fenomeno mafioso per inculcare teoremi indimostrati e assai suggestivi che vedono lo Stato ed i suoi rappresentanti protagonisti negativi se non, addirittura, collusi.

E’ stato agevole per questi signori abusare della “credulita’ popolare” frutto di una conoscenza giocoforza approssimativa di fatti, circostanze e protagonisti, per coniare le proprie battaglie a colpi di slogan da portare all’ammasso. Per puro caso, oggi questi soggetti siedono ai parlamenti europeo e nazionale, scrivono libri o mettono in scena pieces teatrali di grande successo, fondano partiti politici o stanno a capo di associazioni con bilanci milionari. A loro basterebbe contrapporre la memoria di Giuliano Guazzelli che, probabilmente, nessuno ricorda o conosce. Un semplice maresciallo dei carabinieri ucciso dalla mafia nell’agrigentino per avere fatto “solo” il suo dovere, senza clamori, senza piagnistei, senza sovraesposizioni mediatiche. Scrive di lui Mori:

“Un modo di essere oneroso il suo, nel difficile ambiente in cui egli operava, apprezzabile tanto più perché lo teneva senza che nessuno lo scortasse o proteggesse i suoi movimenti e che lo ha portato alla morte. Non era un generale, un magistrato o un politico che poteva fare sentire la sua voce e ottenere ascolto, consenso e sostegno per la propria attività; era solo il maresciallo Giuliano Guazzelli, un tenace, modesto, intelligente, coraggioso Carabiniere che faceva il suo lavoro con rischio personale serenamente assunto, senza speranza di ottenere incarichi prestigiosi o riconoscimenti pubblici.
Invece, dopo la morte, come spesso capita, ottenne una medaglia d’oro al valor civile e l’intitolazione di una caserma dell’Arma.

Così lo Stato, come si dice, mise la pratica a posto e poi la sua vicenda fu subito dimenticata, anche perché Guazzelli non era ritenuto, ma non voleva nemmeno essere, un personaggio da sfruttare per campagne ideologiche o su cui poter scrivere libri o approntare sceneggiati televisivi; era solo un ottimo professionista ed un galantuomo. E se fosse ancora vivo, penso che solo questo riconoscimento pretenderebbe dalle Istituzioni”

Un eroe “normale” come ce ne sono tanti che oggi il pubblico ministero Di Matteo nella furia cieca di affermare la sua tesi accusatoria vorrebbe mettere in discussione attribuendo la sua morte ad altri e ben meno nobili motivi. Spero che Di Matteo un giorno provi vergogna, almeno per un attimo.

La vicenda del generale Mori e del Capitano De Donno, per inciso uno dei pochi a potersi fregiare del titolo di vero amico di Giovanni Falcone, e’ l’ennesima riproposizione di un copione tragicomico che in questo paese, e solo in questo, vede gli uomini migliori delle istituzioni sacrificati sull’altare del fanatismo ideologico e dell’arrivismo personale. Un paese che umilia le storie dei suoi servitori piu’ fedeli si merita cio’ a cui tutti i giorni assistiamo, che tutti i giorni critichiamo, che tutti i giorni a venire continueremo a subire. Consiglio a tutti la lettura di quelle 163 pagine. Agli intelletti piu’ liberi almeno qualche dubbio lo insitilleranno.

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