Yara Gambirasio
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Venti domande ai magistrati del caso Yara

Sono ancora tante, troppe, le cose che non tornano di quest'inchiesta. E finché i giudici non le chiariranno, rimarrà sempre un dubbio sulla colpevolezza di Bossetti.  Bossetti lavorava insieme al padre di Yara - I due investigatori eroi - L'opinione dell'avvocato Gentile - Chi ha pensato ai figli del presunto killer?

A qualche domanda dovranno pur rispondere magistrati e investigatori, O davvero vogliamo credere che il caso di YaraGambirasio e del “presunto” assassino, Massimo Bossetti, sia chiuso e la conclusione di questa orribile storia già consegnata agli annali di criminologia?

Parlano tutti. E parlano troppo. “Un’indagine pazzesca, faticosissima”, ha detto il pubblico ministero Letizia Ruggeri in conferenza stampa. Passate al setaccio 120mila utenze telefoniche dopo il ritrovamento dei resti della povera Yara tra gli arbusti di un campo incolto a Chignolo d’Isola, tre mesi dopo la scomparsa il 26 novembre 2010. Da lì s’è partiti per estrarre il Dna del cosiddetto “Ignoto 1”, trampolino per uno “screening altissimo di Dna dei residenti della zona”. Diciottomila, pare. E “l’individuazione del nipote del Guerinoni”. Il cadavere di quest’ultimo, autista a Gorno, riesumato si è rivelato quello del padre di “Ignoto 1”, il presunto assassino il cui codice genetico combacerebbe con la piccola traccia organica rinvenuta negli slip di Yara. E ancora: gli investigatori raccontano lo sconforto quando hanno capito che l’“assassino” non era un figlio legittimo ma andava trovata la madre naturale fra 500 donne con le quali Guerinoni aveva avuto contatti. E alla fine eccola, anziana, sposata, con figli. Ed ecco il figlio, e quel Dna “carpito” dalla saliva in un boccaglio, con la scusa dell’etilometro.  

È Massimo Bossetti, sposato e padre di tre figli fra gli 8 e i 13 anni. “Una indagine da scuole di polizia giudiziaria”, dice Raffaele Grassi capo dello Sco, il Servizio centrale operativo. “Un’operazione di assoluta avanguardia nel settore”, conferma il capo del Ros (carabinieri), Mario Parente. “Il Dna è stato il faro alla luce del quale proseguire le indagini, il puzzle è quasi completato”, conferma la Ruggeri. “Ho gioito come uomo, ma soprattutto come rappresentante di giustizia”, insiste il procuratore capo di Bergamo, Francesco Dettori, di solito così prudente. Il test del Dna “inchioderebbe” il carpentiere di Mapello. I risultati sono stati formalmente comunicati, spiega una nota dell’Università di Pavia cui appartengono i genetisti che hanno svolto le analisi, lunedì 16 giugno. Il giorno stesso Angelino Alfano, ministro dell’Interno, dava in pasto ai media “l’assassino”.

In caserma Bossetti veniva ascoltato, e fuori c’era già chi gli urlava contro: “Bastardo, devi morire”. Eppure, manca tutto il resto: l’arma del delitto, il movente, il contesto, riscontri decisivi. Perfino la convalida del fermo, che poi non c’è stata in quanto il Giudice delle indagini preliminari ha stabilito che non c’era pericolo di fuga (ma, vista la gravità del delitto, ha disposto la custodia cautelare).

Le domande sorgono spontanee.

1.   È vero che la traccia organica sugli indumenti di Yara era talmente piccola che il test non è più ripetibile ed è perfino incerto che si tratti di sangue o altro?

2.   È vero che la cella alla quale si è agganciato il telefonino di Bossetti circa un’ora prima della sparizione di Yara nella zona della palestra potrebbe coprire pure la casa dove Bossetti sostiene di essere rimasto quella sera (col cellulare scarico, in carica)?

3.   Se è vero che è stato fatto lo screening genetico a 18mila persone e il cellulare di Bossetti era stato “captato” nella zona della scomparsa, perché il suo Dna non è stato analizzato in precedenza?

4.   E se lo è stato, che risultati ha dato?

5.   Qual è l’arma del delitto?

6.   Perché si parla di ferite punta-taglio? Giovanni Arcudi, direttore di Medicina legale dell’Università di Roma Tor Vergata, contesta che si possano riscontrare dopo tre mesi su un corpo in quelle condizioni.

7.   Se un processo accertasse che la traccia è di Bossetti, in assenza di altre prove il colpevole dev’essere per forza lui? (Nel delitto di Via Poma, il test del Dna non ha fatto condannare Raniero Busco, l’ex fidanzato, e in altri processi importanti lo scenario è cambiato nei gradi di giudizio, nel caso Meredith o in quello di Garlasco).

8.   Posto che centinaia di casi passati in giudicato in base a test del Dna negli Stati Uniti e in Gran Bretagna sono stati poi inficiati da ulteriori indagini, si può dire che il Dna sia infallibile, o sia da solo una prova assolutamente certa? NB: gli stessi genetisti di Pavia parlano soltanto di “probabilità estremamente elevata, dal punto di vista statistico”.

9.   Non è strano che Bossetti sia arrivato a 44 anni, avendo compiuto un delitto così terrificante, senza che mai vi sia stata nei suoi confronti una denuncia, una segnalazione, un gossip per patologie o reati sessuali?

10.  Perché Bossetti in tre anni e mezzo non si è trasferito e anche negli ultimi tempi, con la madre sottoposta al test del Dna e lui stesso fermato per la rilevazione dell’etilometro, è rimasto tranquillamente al suo posto?

11.   Perché la madre, sapendo, si sarebbe sottoposta tranquillamente al test? È vero che Bossetti lo sapeva e non l’aveva fermata, anzi?

12.  Manca la prova di un contatto diretto tra Bossetti e la vittima. Possibile?

13. Se le prove sono così schiaccianti, perché Bossetti si ostina a proclamarsi innocente, estraneo, col conforto di tutta la famiglia?

14. Era proprio necessario trascinare nella pubblicità “negativa” tutte le famiglie coinvolte, compresi i figli minorenni?

15. Perché non sono state prese precauzioni per non calpestare la privacy di persone che col delitto non c’entrano nulla, per esempio il padre anagrafico di Bossetti, la stessa madre, e la vedova dell’autista di Gorno con relativi figli, fratelli, nipoti, etc.?

16. Che senso ha andare a perquisire la casa di Bossetti, dove vive tutta la sua famiglia, a tre anni e mezzo dal delitto?

17. Il Pm, Letizia Ruggeri, ha ricordato che secondo il fratellino, Yara era infastidita da un uomo che la guardava in chiesa. Possibile che ricordi qualcosa di utile un bambino che oggi ha 13 anni e allora ne aveva 9, e al quale sono attribuiti svariati ricordi (ultimo, quello di un uomo “col pizzetto” che osservava la sorella)?

18.  È giusto e legittimo fare a qualcuno (non indagato) il test dell’etilometro per un uso del suo Dna diverso da quello previsto? (Attenzione: questa domanda afferisce a diritti fondamentali).

19. Una pressione così forte della pubblica opinione, del governo e delle gerarchie di magistratura e investigatori, può aver indotto a una forzatura delle tracce, a un accanimento investigativo, come emerge anche dalle interviste a poliziotti e carabinieri (anonimi)? (NB: in passato un marocchino, Mohamed Fikri, è finito in carcere come l’assassino di Yara per la traduzione sbagliata di una telefonata ed è rimasto indagato per 2 anni e 8 mesi!).

20.  Perché trasferire alla pubblica opinione questo spettacolo di irritazione, gara a chi arriva primo e diversità di vedute, col ministro dell’Interno che annuncia la cattura dell’”assassino”, bacchettato dal procuratore capo di Bergamo che chiede riserbo e a sua volta usa toni di prudenza discordanti rispetto a quelli trionfalistici del procuratore generale di Brescia per il quale il caso è “chiuso” (mentre il questore di Bergamo lo smentisce)?

    

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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