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Lo scandalo antimafia e le "accuse" dell'Anm

Emergono le presunte malversazioni dell'Ufficio di prevenzione di Palermo denunciate nel 2012 dal prefetto Caruso. Che fu emarginato da Rosi Bindi

Da un mese un terremoto giudiziario scuote l’Ufficio misure di prevenzione antimafia di Palermo, il delicatissimo organismo cui spetta nominare gli amministratori giudiziari che devono gestire beni, patrimoni, società sequestrate a soggetti indagati o in qualche modo sospettati di contiguità con la criminalità organizzata.

La Procura di Caltanissetta, competente sui reati attribuiti ai magistrati palermitani, indaga su quello che, dalle cronache, pare uno dei peggiori verminai nella storia della Repubblica.

Si legge di magistrati indagati; di incarichi affidati sempre agli stessi professionisti; di stipendi e parcelle ultramilionarie, che gli amministratori delegati dal Tribunale attribuiscono a se stesso o a consulenti vicini; di aziende gestite malissimo; di favoritismi e intrecci d’ogni genere. Ovviamente, si sospettano tangenti.

Un vero disastro, insomma: di malagiustizia, d’immagine, e anche economico. Perché i beni sequestrati alle organizzazioni criminali messi tutti insieme valgono almeno 30 miliardi di euro (ma c'è chi dice addirittura 40). Potrebbero e dovrebbero produrre ricchezza, da restituire agli enti locali o alla giustizia stessa, notoriamente afflitta da penuria: si tratta di ipermercati, cliniche, ristoranti, residence, distributori di benzina, villaggi turistici, fabbriche, fattorie, allevamenti…

Le indagini raccontano tutt’altro. Si intravvedono solo abusi, soprusi, ruberie.

I magistrati di Caltanissetta a metà settembre hanno iscritto al registro degli indagati tre magistrati palermitani e in particolare la presidente dell’Ufficio misure di prevenzione, Silvana Saguto, in quell’incarico dal 1994.

I reati ipotizzati sono gravi: corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità, abuso d’ufficio. Saguto non si è dimessa, ha chiesto di essere trasferita ad altro uffcio dello stesso tribunale, e ora fa il giudice in una sezione penale.

Il 18 gennaio 2012, oltre tre anni fa, l’allora direttore dell’Agenzia nazionale beni confiscati di Reggio Calabria, il prefetto Giuseppe Caruso, già segnalava alla Commissione parlamentare antimafia che "i beni confiscati sono serviti, in via quasi esclusiva, ad assicurare gli stipendi e gli emolumenti agli amministratori giudiziari, perché allo Stato è arrivato poco o niente".

Più di recente, nel marzo 2014, Caruso aveva criticato "gli amministratori giudiziari intoccabili", professionisti che "hanno ritenuto di disporre dei beni confiscati per costruire i loro vitalizi" e criticato apertamente l’operato del Tribunale di Palermo che li aveva scelti.

La risposta a quelle accuse circostanziate era stata brutale: la presidente della Commissione antimafia, Rosy Bindi, aveva convocato d’urgenza il prefetto in un’audizione trasformatasi quasi in processo, sottolineando il rischio che Caruso avesse potuto "delegittimare i magistrati e l’antimafia stessa".

La stessa Associazione nazionale magistrati aveva isolato il prefetto con un comunicato che oggi grida vendetta: "I magistrati della sezione misure di prevenzione e i loro collaboratori operano in difficili condizioni, conseguendo risultati di assoluto rilievo".

L'Anm aveva quindi deciso di difendere i magistrati palermitani, senza porsi alcun dubbio su quanto coraggiosamente denunciava Caruso, di certo consapevole della gravità delle sue accuse.

Nel comunicato, al contrario, Caruso era stato duramente criticato dall'Anm: "Chiunque ricopre incarichi istituzionali (cioè il prefetto, ndr), ha il dovere di denunciare eventuali illeciti alla competente autorità giudiziaria e dovrebbe astenersi dal rilasciare dichiarazioni pubbliche non supportate da elementi di riscontro".

Nel giugno 2014, anche per quelle paradossali polemiche, Caruso aveva lasciato la guida dell’Agenzia. Oggi il prefetto si limita a dire: "Adesso c'è qualcuno che si dovrà difendere e qualcun altro che si dovrà dimettere". Per ora, nel Tribunale di Palermo, di dimissioni non si parla. Il Csm ha fatto un viaggetto a Palermo, ma non ha sospeso nessun magistrato. E l'Anm tace. Forse fa finta di non vedere...

Di certo, alla luce di quanto si sta scoprendo, qualcuno dovrebbe rivedere le sue posizioni, magari pubblicamente. Forse intimamente vergognandosi un poco di quanto ha detto e scritto più di un anno fa.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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