Rubygate: la sentenza "impubblicabile", che viene pubblicata subito
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Rubygate: la sentenza "impubblicabile", che viene pubblicata subito

Il giudice dice: "I giornalisti non hanno diritto ad averla". Ma sembra un'ipocrisia. E cinque minuti dopo è online...

I cronisti «non sono ''soggetti legittimati'' ad avere copia della sentenza». In un soprassalto di formalismo giuridico, sicuramente corretto in punta di diritto ma a suo modo venato da una dose di ipocrisia e ahimé del tutto fuori dal tempo, la presidente della quarta sezione penale del tribunale di Milano Giulia Turri avrebbe opposto queste motivazioni alla richiesta dei cronisti giudiziari, che chiedevano di poter fotocopiare le 331 pagine con cui la corte oggi, 21 novembre 2013, ha motivato la condanna di Silvio Berlusconi a 7 anni di carcere nel caso Ruby. Ovviamente, un minuto più tardi, le agenzie hanno preso a pubblicare brani di quella sentenza. E Il Fatto quotidiano l’ha pubblicata integralmente online.

A ben vedere, mentre tutto intorno si scatenano le prese di posizione sulle 331 pagine, la pretesa del giudice Turri è così anomala, nella sua apparente innocenza, da fare tenerezza. Il giudice, evidentemente, non si è accorto che in Italia, ormai da anni, i cronisti hanno accesso immediato e diretto a migliaia di atti giudiziari coperti da segreto: possono pubblicare impunemente intercettazioni, tabulati telefonici, ordini di custodia cautelare, perizie psichiatriche. Sì, ogni tanto qualche tribunale apre un’indagine, ma i casi seri riguardano soltanto alcune testate (il Giornale, Libero e Panorama) e di condanne se ne ricorda una: quella di Berlusconi per l’intercettazione di Piero Fassino e Giovanni Consorte («Allora abbiamo una banca…»).

Negli ultimi anni, però, si sono letti interi brani d’intercettazione che non avevano nulla a che vedere con reati, milioni di parole pronunciate da persone nemmeno indagate. Tutte le carte che vogliono avere i giornalisti, se dotati di un buon rapporto con un pubblico ministero, le ottengono. Meglio: tutto quel che esce da una procura finisce regolarmente, automaticamente, sul tavolo del cronista «fiancheggiatore». Non accade in nessun altro paese al mondo.

Certo, forse non è corretto che i giornalisti abbiano una copia della sentenza prima ancora che l’abbia l’avvocato dell’imputato. Ma svegliarsi all’alba del 21 novembre 2013 per negare un accesso che (una volta tanto) è pienamente giustificato dal diritto di cronaca pare quindi un gesto paradossale, provocatorio. Quasi una presa in giro. 

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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