Querelle intercettazioni & Quirinale
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Querelle intercettazioni & Quirinale

Alla base di tutto c'è una grave anomalia, aver messo sotto controllo Mancino per un "sospetto" - tutto sulle Intercettazioni -

È il vero punto oscuro. Meglio: è il punto oscuro di partenza. Nella questione delle intercettazioni di Giorgio Napolitano, che tanta querelle stanno sollevando dopo l'articolo di Panorama in edicola, continua a essere incredibilmente sottovalutato un elemento a mio modo di vedere importante, e insieme profondamente anomalo da punto di vista giudiziario. L’elemento riguarda l’oggetto delle intercettazioni “incriminate": cioè Nicola Mancino, ex ministro democristiano dell’Interno e fino al 2010, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Sono sue le telefonate intercettate, mentre Mancino parla con il Quirinale.

Ebbene, l’inchiesta della Procura di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia inizia molto tempo fa. Nel novembre scorso la Procura, sospettando che Mancino possa tentare di inquinare le prove, mette sotto controllo il suo telefono. Il punto è che Mancino, in quel momento, non è affatto indagato: in quel momento, al contrario, è soltanto uno dei testimoni nell’inchiesta palermitana. Perché Mancino è stato ministro proprio tra 1992 e 1994, gli anni in cui sarebbe partita la presunta trattativa con Cosa nostra. La sua iscrizione al registro degli indagati è successiva, e per l’appunto l’ipotesi di reato avanzata contro di lui è la falsa testimonianza. Quindi viene intercettato mentre non è ancora indagato: il suo telefono viene messo sotto controllo al solo scopo di verificare se sta compiendo reati.

Ora, è vero che l’articolo 267 del codice di procedura penale dispone che «il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'art. 266. L'autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini».

Ma la sola idea che un magistrato possa legittimamente mettere sotto inchiesta un cittadino esclusivamente per un sospetto, ma senza che questi sia formalmente indagato, pare inaccettabile. È l’applicazione pratica dell’incredibile  slogan giustizialista «intercettateci tutti», che tanto piace a certi ambienti giornalistici (fino a quando non tocca a loro, come dimostrano certe antiche storie, capitate a cronisti di giudiziaria di quella parte…). Alla stessa stregua, chiunque può essere sospettato (ma non indagato) e quindi intercettato.

Vi pare civile? Vi pare liberale? Vi pare normale? A me no. Questa Italia non ci piace.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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