Rosario-Crocetta
ANSA/FRANCO LANNINO
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Qualche dubbio sul "Crocetta mistery"

La Procura nega l'esistenza dell'intercettazione che ha messo all'angolo il governatore Crocetta. Che fare? La soluzione sovietica

RosarioCrocetta, il governatore della Sicilia che ieri si è autosospeso per l'ultimo scandalo telefonico italiano, non è politico che ispiri particolare simpatia; anche il suo governo regionale non pare abbia combinato gran che di buono. Questo non toglie che il trattamento che gli viene riservato nelle ultime ore è indegno di uno Stato di diritto.

Tutto, peraltro, nasce da un ottimo scoop. L'Espresso pubblica un'intercettazione nella quale Crocetta, pochi mesi fa, è al telefono con il suo medico (attualmente agli arresti per abuso e falso, truffa e peculato). Costui gli parla di Lucia Borsellino, figlia del magistrato Paolo (ucciso il 19 luglio 1992 nella strage di via D'Amelio a Palermo), all'epoca della telefonata assessore nella giunta di Crocetta. "Lucia Borsellino va fatta fuori. Come suo padre" avrebbe detto il medico. Secondo la ricostruzione Crocetta, di fronte a quella indegna sparata, avrebbe indecorosamente taciuto.

Da qui infinite polemiche, attacchi violenti, perfino lacrime: fino alla decisione di Crocetta di sospendersi dalla carica (una scelta impropria, perché non prevista dallo statuto regionale). Ma è tutto vero? È tutto falso? L'Espresso è giornale autorevole. Ma la Procura di Palermo, attraverso il suo autorevole procuratore Francesco Lo Voi, ha subito negato che l'intercettazione esista.

E allora? Sembra di tornare ai tempi delle presunte telefonate nelle quali, secondo alcuni quotidiani, Silvio Berlusconi parlava del posteriore di Angela Merkel: mai viste, quelle intercettazioni. Eppure sono diventate verità storica.

Temo che questo sistema non possa più andare avanti. E lo dico da giornalista. Ormai nastri, sbobinature, ascolti captati sono diventati un indefinito magma melmoso, dal quale estrarre quel che si vuole.

Quando i giornalisti ricevono informazioni corrette e verificate, si dice, devono pubblicarle. Io non ne sono più così convinto, almeno non quando si tratta d'intercettazioni. Un'intercettazione (ammesso che sia vera) non dimostra mai nulla: manca il contesto, il tono... In questo caso, addirittura, è di un silenzio improprio che si discute.

Un mio caro amico, che ha fatto il giornalista in Russia ai tempi dell'Unione sovietica, racconta che il regime comunista era (paradossalmente) molto più corretto di questa anomalia che chiamiamo "Repubblica italiana": era quasi gentile, l'Urss. Ogni volta che sollevavi la cornetta, una voce maschile, registrata, ti avvisava con due paroline molto minacciose: "Osmowa controllovana", conversazione controllata. Così il povero cittadino-suddito sapeva in partenza di che morte poteva morire.

Ecco, sulla scia di quel luminoso esempio di "democrazia realizzata", sarebbe bene che anche in Italia qualcuno (il ministero della Giustizia? le Procure? l'Ordine dei giornalisti? il Grande Fratello?) iniziasse a ricordare a tutti noi, poveri cittadini-sudditi che il diritto alla privacy, da noi, è sospeso. Certo, poi uno pensa ai grillini che in Parlamento gridano "intercettateci tutti!" e gli viene voglia di chiedere asilo politico a un Paese civile come il Ghana.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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