Berlusconi condannato, tra mille dubbi e incongruenze
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Berlusconi condannato, tra mille dubbi e incongruenze

Una sentenza prevista, non nella sua pesantezza, ma che non cancella i dubbi, anzi... - La scheda - I 7 paradossi - Tutti i processi di Berlusconi - I numeri - le reazioni del Pdl - il VIDEO della lettura della sentenza -

Alla vigilia della sentenza, Silvio Berlusconi lo aveva previsto: «Io lo so già come finisce, finisce male. Questo processo non sta né in cielo né in terra; ma siccome vogliono farmi fuori dalla scena politica approfitteranno anche di questa occasione».

Oggi, 24 giugno 2013, con l’abituale velocità impressa ai processi berlusconiani (il procedimento era iniziato il 6 aprile 2011 e si è concluso dopo oltre 50 udienze in 2 anni e 2 mesi), la sentenza per il «Rubygate» è arrivata e non ha stupito né l’imputato, né molti altri: è condanna, una condanna dura a  7 anni. Addirittura uno in più rispetto a quel che l’accusa, il 6 maggio, aveva chiesto alla fine della requisitoria: Ilda Boccassini aveva chiesto 6 anni, 5 dei quali per l’induzione indebita (la nuova formulazione del reato di concussione) e 1 anno per la prostituzione minorile. Nessuna attenuante, e in più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

I giudici hanno hanno riconosciuto il Cavaliere colpevole di concussione «per costrizione», invece che «per induzione». La stessa procura non ha mai pensato che i funzionari della questura fossero stati «costretti».

La camera di consiglio è stata lunga. Sono servite oltre 7 ore alla presidente della Corte, Giulia Turri, con i due giudici a latere Carmen D'Elia e Orsolina De Cristofaro, per decidere. La corte ha stabilito anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Le incongruenze del processo

Resta il fatto che il processo Ruby è particolarmente denso diparadossi, anomalie, incongruenze.

1) È un procedimeno nel quale la «vittima» del reato di prostituzione minorile, Kharima el Maroug, ha fatto avviare l’inchiesta nell’estate 2010 con cinque interrogatori. Ma in seguito non è mai stata dichiarata parte lesa e non è mai stata interrogata in aula: oggi, invece di attendere la sentenza, è partita in vacanza per il Messico con il marito. Incongruità nell’incongruità: la corte non ha voluto ascoltare Ruby, però ha acquisito agli atti la sua testimonianza, decisamente favorevole alla difesa, resa lo scorso 17 maggio nel parallelo processo milanese a Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti, accusati di sfruttamento della prostituzione.

2) Anche le presunte vittime dell’altro reato (la  concussione), e cioè i funzionari della Questura di Milano che Berlusconi avrebbe indotto a liberare Ruby, nel processo non sono entrati come parti civili, né hanno mai dichiarato di essere stati indotti a fare alcunché di illecito da parte dell’imputato. Hanno anzi confermato più volte e con forza di avere fatto soltanto il loro dovere, seguendo regole consolidate.

Ma c’è un punto forse ancora più strano: la Procura di Milano (almeno finora) non li ha mai indagati per il minimo abuso, per la minima inadempienza. Come se il loro operato, che pure veniva dichiarato illecito dagli inquirenti, non fosse da perseguire.

3) L’accusa ha poi duramente censurato, nella requisitoria, i pagamenti a favore di numerosi testimoni, in gran parte soubrette, ospiti delle serate di Arcore che Berlusconi, nell’udienza del 20 aprile 2012, ha rivelato di aver voluto risarcire con mensili di vario importo per il danno d’immagine e professionale patito proprio a causa del Rubygate. La Procura ne ha sempre parlato come di una «grave anomalia», ma finora non risulta che abbia indagato sul punto. Certo, potrebbe sempre aprire un’inchiesta ipotizzando una clamorosa corruzione plurima di testimone. Ma sarebbe molto strano farlo ora, visto che il presunto reato è noto da oltre un anno.

4) Ma c’è un altro paradosso inspiegabile. Quando la notte del 27 maggio 2010 Berlusconi viene informato dai funzionari della Questura di Milano che Ruby ha 17 anni e non è egiziana, smette di occuparsi di lei. «Rimasi di stucco» ha dichiarato l’imputato. I fatti lo confermano: non interviene nemmeno quando, appena una settimana più tardi, la ragazza venne nuovamente fermata dalla polizia e consegnata in affido, stavolta a una comunità di Genova. Ora, se davvero Berlusconi avesse nutrito paure su Ruby, perché avrebbe deciso di interrompere la «protezione» dopo la prima, presunta concussione? Perché non ripetere un intervento sulla questura, o su altri uffici, su altri funzionari? Possibile che in soli 7 giorni fosse venuto meno il «rischio» rappresentato da Ruby? Al contrario: semmai il pericolo era aumentato. E allora perché non insistere con la protezione? Non è logico, allora, leggere nel comportamento dell’imputato la reazione di chi, dopo avere aiutato quella che in buona fede riteneva fosse la vittima di una vita disperata, smetta di farlo una volta appurato che si trattava di una mistificatrice.
Le due verità inconciliabili di Ruby

La stessa attendibilità di Ruby, nella doppia veste di testimone prima dell’accusa e poi della difesa, è più che scalfita. Sono due le versioni, diametralmente opposte, rese dalla giovane marocchina sulle serate di Arcore: c’è quella dei cinque interrogatori davanti ai pm Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermano (tra il 2 luglio e il 3 agosto 2010), da cui gli inquirenti trassero i primi elementi per incardinare l’inchiesta sulle due ipotesi di reato; e poi c’è quella fornita in aula il 17 maggio 2013, quando Ruby ha testimoniato nel processo parallelo che vede imputati Fede, Mora e Minetti.

La prima verità è sfavorevole a Berlusconi, mentre la seconda, che è stata acquisita dai giudici al dibattimento principale, è tutta a favore dell’imputato. Nei verbali del 2010 Ruby aveva raccontato che le ragazze a Villa San Martino dovevano «fare provare piaceri corporei» a Berlusconi; invece nella deposizione del 2013 la teste ha parlato esclusivamente di balli «sensuali», negando «contatti fisici tra il presidente e le giovani».

Ma questa è soltanto una delle tante contraddizioni tra le due Ruby, il cui unico trait d'union sta nell'avere sempre negato di aver avuto rapporti sessuali con l'ex premier. Il contrasto tra i cinque verbali e la testimonianza dello scorso maggio salta agli occhi già dalla definizione data all'espressione bung-bunga: «Berlusconi mi spiegò che consisteva in una specie di harem che aveva copiato dal suo amico Gheddafi» raccontava Ruby nel luglio 2010 agli inquirenti, fornendo altri particolari: «Le ragazze si fermavano ad Arcore soltanto per esaudire i suoi desideri»; c'erano giovani «completamente nude» che volevano «farsi notare da Berlusconi con atti sessuali sempre piu' spinti». E per lei, aggiungeva, non era stato «difficile intuire che mi proponeva di fare sesso con lui».

Davanti ai pm tre anni fa e in aula, comunque, la ragazza ha sempre detto di non avere mai avuto rapporti intimi con Berlusconi. Davanti ai giudici, però, ha descritto le serate con toni molto diversi rispetto alle dichiarazioni rese durante le indagini: cene e dopo-cena con qualche travestimento sexy, ma assolutamente mai senza sesso e senza contatti fisici. Mentre il bunga-bunga nella testimonianza in aula è stato ridotto al «nome della sala, preso da una barzelletta».

L’attendibilità della teste (misteriosamente mai dichiarata parte lesa nel processo) è minata anche da altri due elementi: il primo è relativo alla persona che la portò ad Arcore la prima volta, il 14 febbraio 2010. Davanti ai pm la ragazza ha sostenuto che era stata «chiamata da Emilio Fede», mentre in udienza ha raccontato che Mora «mi mandò un’auto» che poi passo a prendere, senza che lei lo sapesse, l'ex direttore del Tg4.

Il secondo elemento riguarda un punto fondamentale: se Berlusconi fosse o meno a conoscenza che nel 2010 era minorenne. «Berlusconi sapeva che avevo 23-24 anni» ha dichiarato in aula Ruby, aggiungendo che si era presentata a lui come «imparentata col presidente egiziano Mubarak». Una verità diversa da quella affidata ai verbali davanti ai pm. Si può ritenere credibile una vittima-testimone tanto contraddittoria?

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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