Le tesi contrapposte del processo Mediaset
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Le tesi contrapposte del processo Mediaset

Le posizioni di accusa e difesa nel procedimento su cui il 30 luglio è chiamata a esprimersi la Cassazione

 

Il procedimento definito «Diritti tv Mediaset», che tiene sospesa l’Italia per il giudizio di Cassazione sul suo principale imputato, Silvio Berlusconi, oggi è un fiume in piena, anche di polemiche, ma è nato sette anni fa come un piccolo rivolo.

È infatti un procedimento stralcio dell'indagine della procura milanese sulla società All Iberian, a sua volta avviata nel 2001, e si è basato su complesse indagini su alcune società estere.  Secondo l’accusa, sui conti di queste società si sarebbe trovata traccia di fondi neri «distratti su conti bancari in Svizzera, Bahamas e Montecarlo [...] nella disponibilità degli indagati [...] e gestiti da fiduciari di Berlusconi».

Tutto sarebbe iniziato dall’imposizione di un sovrapprezzo all’acquisto in Italia dei diritti di una lunga serie di film americani che, secondo l'ipotesi accusatoria, avveniva in modo illegale: Mediaset non li comprava direttamente, ma attraverso alcune società offshore facenti capo a un noto imprenditore del settore, Frank Agrama, (la Century One e la Universal One, oppure la Wiltshire Trading e la Harmony Gold) che a loro volta li cedevano ad altre società, facendo lievitare il prezzo a ogni passaggio. La differenza tra il valore reale e quello finale avrebbe consentito a Mediaset di realizzare fondi «neri».

In questo modo, secondo l’accusa, l’azienda di Berlusconi avrebbe evaso tasse per 7,3 milioni di euro. Da qui l’accusa di frode fiscale, che in primo e in secondo grado ha portato a una condanna dell’imputato a quattro anni di reclusione (di cui tre coperti dall'indulto) e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Da domani, 30 luglio, la sezione feriale della Cassazione affronterà la questione.

Berlusconi, che ha sempre negato ogni addebito, si è difeso ricordando di avere lasciato tutte le cariche sociali all’atto della sua prima candidatura politica, alla fine del 1993. Ma secondo i giudici della Corte d’appello Berlusconi avrebbe continuato a essere al vertice del gruppo Mediaset anche dopo la sua «discesa in campo», con l’impegno in politica e con la nomina a presidente del consiglio. Per questo hanno confermato la condanna a 4 anni di reclusione (e cinque di interdizione dai pubblici uffici) per frode fiscale. Agrama, che secondo i giudici sarebbe stato socio occulto di Berlusconi, è stato invece condannato a 3 anni.

Per i giudici di primo e secondo esisterebbe la piena prova, orale e documentale, che Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale per così dire del gruppo e, quindi, dell’evasione fiscale realizzata con le società off shore.

I giudici dell’appello sul processo Mediaset non hanno avuto dubbi sulle responsabilità di Berlusconi. Un imprenditore – si legge nelle 190 pagine di motivazioni – «avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto e avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il maggior costo per le sue aziende e che tutti questi personaggi, che a lui facevano diretto riferimento, non solo gli occultavano da tale fondamentale opportunità, ma che, su questo, lucravano ingenti somme sottraendone sostanzialmente a lui oltre che a Mediaset».

La difesa dell’imputato sostiene, al contrario, che i giudici di primo e di secondo grado, contro ogni logica, non hanno tenuto conto di due precise sentenze della Corte di cassazione, che con decisioni passate in giudicato hanno statuito l'assoluta estraneità di Berlusconi dalla gestione della Mediaset proprio negli anni in questione. Risulta del resto dagli atti che Berlusconi incontrò Agrama due o tre volte soltanto, agli albori della tv commerciale, negli anni '80, non avendo poi più alcun rapporto con lui. Dai conti correnti di Agrama, sequestrati dai pm milanesi, si evince inoltre che tutti i guadagni provenienti dall'attività di Agrama sono rimasti nella sua esclusiva disponibilità e che mai alcuna somma sia stata trasferita a Berlusconi. Nel corso degli anni, Agrama ebbe invece a versare ad alcuni dirigenti di Mediaset ingenti tangenti in nero (in un caso addirittura 4 milioni e mezzo di euro) per far sì  che l'azienda acquistasse l'intera produzione annuale di Paramount.

Inoltre, la stragrande maggioranza dei testimoni ha categoricamente escluso che Silvio Berlusconi si sia mai occupato dell'acquisto di diritti televisivi, e tutti i testimoni hanno confermato che dal gennaio 1994, data della sua discesa in campo in politica, Berlusconi oltre a essersi dimesso da ogni carica si è totalmente distinto e allontanato dalle aziende da lui fondate, non ha mai ricoperto alcun ruolo in Mediaset, non ne ha firmato alcun bilancio, né alcuna dichiarazione dei redditi.

 

Il processo è durato tanto, ma si è trasformato nell’arma più efficace per colpire il quattro volte presidente del consiglio. Secondo il Pdl, l'azione legale ha però comportato costi elevati: "quasi 3 milioni di euro" e "non è azzardato ipotizzare che tra consulenze, rogatorie ed atti processuali questa vicenda sia già costata allo Stato, dunque ai contribuenti, circa 20 milioni di euro".

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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